Alla fine, come previsto, la Corte Costituzionale presieduta dal neo-eletto Alfonso Quaranta ha definitivamente ammesso il quesito referendario sull’energia nucleare. Restano invece le polemiche su come si è arrivati a questo testo e su cosa comporterà. E’ l’eterna storia dei referendum in Italia, bisogna votare sì per dire no e votare no per dire sì. Ma nel caso del quesito sull’energia nucleare, le cose a prima vista sembrano più complicate. Colpa dell’intervento in extremis del governo Berlusconi, che il 31 marzo ha approvato un nuovo decreto in materia, poi convertito in legge dal parlamento il 26 maggio.

Nell’articolo 5 del decreto si propone tra l’altro una sorta di moratoria della costruzione di nuove centrali atomiche nell’attesa “di acquisire ulteriori evidenze scientifiche (…) sui profili relativi alla sicurezza” (comma 1) e si impegna il governo a preparare entro un anno una “strategia energetica nazionale” che tenga conto anche della diversificazione delle fonti e dell’effetto serra. Sono proprio i due commi citati nel quesito del referendum sul nucleare, che la Corte di cassazione ha dovuto riformulare il primo giugno in seguito all’intervento voluto da Berlusconi.

Ecco allora che si insinua il dubbio, che rimbalza tra blog e giornali: chi vota sì cancella la moratoria, e quindi dà il via libera a nuove centrali? E per di più impedisce al governo di fare un piano energetico che tenga conto delle rinnovabili? Ottiene insomma il risultato esattamente opposto a quello per cui ha deciso di andare a votare?

A prima vista sembrerebbe così, ma in realtà i promotori dei referendum sono tranquilli,  a cominciare da Alessandro Pace, costituzionalista che ha curato il ricorso in Cassazione per l’Italia dei valori, promotore ufficiale del referendum sul nucleare. “La corte di Cassazione ha motivato chiaramente la decisione del primo giugno, quando ha dichiarato ammissibile il referendum sul nucleare anche dopo il decreto”, conferma il collega Alberto Lucarelli, impegnato con il comitato di sostegno al fronte del Sì. “Lo spirito del comitato promotore prevale sull’aspetto formalistico. La Cassazione ha riconosciuto che quella del governo era una ‘leggina’ a carattere sospensivo”.

Del resto, il titolo della scheda grigia sulla quale si voterà non ammette equivoci: “Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare”. Le motivazioni della decisione del primo giugno sono state rese pubbliche oggi, e sembrano andare proprio in questa direzione. L’articolo 5 del decreto governativo non contiene affatto una rinuncia, anzi, dice la Cassazione, “detta regole aventi la forza e l’efficacia di una legge che apre nell’immediato al nucleare”. Si sospende qualcosa che si intende fare, non qualcosa a cui si è rinunciato definitivamente.

Sulla stessa lunghezza d’onda Lorenza Carlassare di Libertà e Giustizia, associazione che sostiene tutti i quattro referendum del 12 e 13 giugno: “E’ un dubbio che non mi porrei. Anzi, con l’intervento della Cassazione il quesito è ancora più chiaro. Caso mai il vero problema è quello degli italiani all’estero, ai quali sono state recapitate le schede vecchie”. Un tema, questo sì, sul quale il Comitato per il sì chiede da giorni un chiarimento al ministero dell’Interno, finora senza risposta.

C’è però da registrare la voce dissonante di un altro importante costituzionalista, Augusto Barbera, già parlamentare del Pci-Pds. Secondo Barbera, il quesito sul nucleare riformulato dalla Cassazione non sta in piedi perché “tutte le norme che prevedevano procedure e tempi per l’installazione di centrali nucleari sono state abrogate” dal famoso decreto, ha affermato in un’intervista su Avvenire di ieri. “Ipotizzo che la Cassazione si sia basata sulle intenzioni del governo. Però in questi casi si procede in base alle norme scritte e approvate dalle Camere, non in base a dichiarazioni d’intenti”. In più la corte ha voluto far sapere di aver adottato la decisione a maggioranza, una cosa senza precedenti, secondo Barbera.

Il tortuoso cammino del referendum antinucleare ora è terminato. La pronuncia della Corte costituzionale, a cui si è rivolta l’avvocatura dello Stato dopo la decisione della Cassazione chiude la partita, anche se le dichiarazioni del presidente Alfonso Quaranta, eletto proprio ieri, regalavano già una certa serenità ai sostenitori del Sì: “La Consulta non può bloccare il referendum sul nucleare”, aveva detto Quaranta. E così è stato.

A decidere le sorti di questo e degli altri tre quesiti – due sul servizio idrico e uno sul legittimo impedimento – non saranno dunque i cavilli, ma il quorum del 50% più uno degli elettori, necessario perché i referendum abbiano effetto.

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