La sintesi delle spaccature dentro il governo non poteva essere più chiara di quella che si è presentata ieri a uno dei mille convegni di Confindustria, quello dei giovani industriali a Santa Margherita Ligure. La faglia sismica è quella della riforma fiscale, combinata con la manovra. L’istantanea è questa: Silvio Berlusconi non si presenta, non si capisce bene se non invitato ma sicuramente non gradito, Giulio Tremonti resta solo a spiegare che le tasse non si possono ridurre, a distanza il ministro leghista Roberto Maroni lo contesta e quasi lo insulta, il presidente confindustriale Emma Marcegaglia applaude e chiede subito la manovra da 40 miliardi ma anche la riduzione delle tasse per chi produce. Cioè per gli industriali.
Alla convention ligure Tremonti spiega che “il tempo della prudenza non è finito” e aggiunge che “l’evasione fiscale è un grosso serbatoio. Ora si può fare un ragionamento di recupero dell’evasione per una riduzione della pressione fiscale”. La traduzione politica è la seguente: di soldi non ce ne sono e non è certo il momento di pensare a come spenderli. Un messaggio ripetuto fino allo sfinimento in questi giorni ma che, ribadito a meno di 24 ore dall’apertura delle urne referendarie, non deve aver fatto piacere al presidente del Consiglio che ancora due giorni fa cercava di recuperare qualche consenso in extremis promettendo che almeno la legge delega per la riforma fiscale sarebbe arrivata prima dell’estate.
Ma c’è un elefante nella stanza che tutti fingono di non vedere, la manovra da 40 miliardi su tre anni che deve essere annunciata prima dell’estate o l’Italia perderà molta parte della credibilità che le resta sui mercati finanziari. Quindi Tremonti parla come uno che sta cercando di trovare soldi, anziché ingegnarsi come spenderli. Dice che l’ipotesi di aumentare l’Iva è allo studio, giura che il governo “non ha la minima intenzione di tassare la prima casa o il risparmio delle famiglie”. Ma di ridurre il carico fiscale non se ne parla. E visto che l’unica ipotesi di riforma concepibile al momento, quella per cui tifa Berlusconi, è una riduzione delle aliquote Irpef sui redditi più bassi finanziata dall’aumento Iva, agli industriali interessa poco. “Serve una riforma fiscale che abbassi le tasse su chi tiene in piedi questo Paese, i lavoratori e le imprese”, ha detto la Marcegaglia. Che però riconosce anche la necessità di fare subito il drastico risanamento per arrivare al pareggio di bilancio nel 2014: “Questo vuol dire pensare a una manovra importante da 35-40 miliardi di euro” da fare subito e “non dopo le elezioni da un altro governo”. Che è un modo per avallare la linea dura di Tremonti che pretende di incassare prima il via libera dal governo sulla manovra e soldo dopo iniziare a ragionare davvero di come ridurre le tasse.
Peccato che Berlusconi non la pensi così e soprattutto che la Lega sembra sempre più tentata da far saltare tutto. Il ministro del Welfare Roberto Maroni sceglie il palco della festa della Cisl per dire, senza eufemismi, che il ministro dell’Economia sta sbagliando tutto: “Tremonti ha detto che serve la prudenza, è giusto, ma, in questi momenti credo che serva più il coraggio che la prudenza. Il coraggio di guardare e di mettere in campo una riforma significativa, il coraggio di sfidare la congiuntura, di un gesto importante, atteso”. Oltre al coraggio servirebbero poi i soldi, magari un po’ di crescita (non l’1 per cento scarso su cui conta l’Italia) e un debito più basso dei nostri 1800 miliardi di euro.
Ma la linea della Lega prescinde da ogni ragionamento sulla finanza pubblica, è ormai un attacco aperto a Tremonti che finora era sempre stato protetto da Umberto Bossi quando si opponeva al populismo tributario di Berlusconi (sempre pronto ad annunciare l’abolizione dell’Irap senza avere i 40 miliardi per farvi fronte). Il discorso di Maroni è una bocciatura retroattiva, quasi il bilancio di un fallimento. Dice il ministro dell’Interno: “Il governo non è solo un ragioniere che deve tenere i conti in ordine perchè altrimenti qualche burocrate di Bruxelles viene con il ditino. Deve fare anche questo, per l’amor di Dio, ma si può negoziare, si può discutere e trattare”. Ora, visto che Tremonti ha passato l’ultimo anno a negoziare con Bruxelles il percorso di riduzione del debito pubblico, appigliandosi all’unico nostro punto di forza, il basso indebitamento privato, Maroni sta in pratica dicendo che il ministro ha fatto fiasco.
Finora il malcontento leghista era rimasto un borbottio sommesso, anche se in molti nel Carroccio pensavano che la colpa della batosta alle amministrative fosse proprio di Tremonti: basta ricordare le sedi di Equitalia assediate nel Nord Est e la marcia di protesta silenziosa degli industriali di Treviso, abbandonati dal governo al loro destino. Maroni, l’unico leader padano che possa considerarsi un’alternativa a Tremonti come leader del futuro, ora dichiara apertamente che è finita.
Non basta più la prudenza del fronte “romano” della Lega, quello che fa capo a Roberto Calderoli per mantenere un po’ di calma. “Tirare a campare e’devastante per chi governa e per le maggioranze”, dice Maroni. Ora resta da vedere se la Lega è pronta a passare dalle parole ai fatti, magari sulla scia di una vittoria dei “sì” al referendum.
Da Il Fatto Quotidiano del 12 giugno 2011