“La malattia dell’Italia non è acuta, ma cronica”, come un tarlo che anno dopo anno “erode la vitalità del sistema economico”. L’analisi pubblicata la settimana scorsa dall’Economist era stata impietosa: crescita quasi nulla, bassa produttività, incapacità di approvare riforme strutturali per rilanciare lo sviluppo. Un paese con “l’acqua alla gola”, che negli ultimi dieci anni è rimasto fermo, con una crescita economica “superiore a livello internazionale solo a quella di Haiti e dello Zimbabwe”. Il settimanale londinese aveva individuato il principale responsabile dello stallo italiano in Silvio Berlusconi, che “in quasi nove anni da primo ministro” si sarebbe totalmente disinteressato della grave condizione economica del paese per difendere i propri interessi.
L’annuncio diramato ieri sera dall’agenzia di rating Moody’s va sostanzialmente nella stessa direzione, con un’aggravante: l’incapacità recentemente dimostrata dal governo di ottenere “approvazione pubblica per le proprie politiche”. L’Italia non sarebbe solo rallentata da una “debolezza economica strutturale”, ma ora anche dalla debolezza del governo, che soffre per il crollo del consenso elettorale e in un futuro prossimo potrebbe avere “maggiori difficoltà nell’adottare ulteriori strette fiscali”. La nota di Moody’s fa esplicito riferimento ai referendum sull’acqua e il nucleare, dove due proposte dell’esecutivo sono state “respinte dal voto popolare” e segnala “rischi” nell’applicazione di piani di consolidamento fiscale per “ridurre il debito italiano a livelli più sostenibili”. In poche parole, se fino ad oggi il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha svolto con diligenza i propri compiti, riuscendo a controllare il deficit di bilancio, nei prossimi mesi l’austerità tremontiana potrebbe scontrarsi con il disperato bisogno del governo di recuperare consensi allentando la pressione sul budget. “Berlusconi è stato sconfitto due volte in due settimane dal voto degli elettori e vuole conquistare di nuovo gli elettori con la promessa di tagli alle tasse”, commenta oggi Bloomberg. Una mossa doppiamente pericolosa perché “potrebbe dividere l’esecutivo e aumentare il volume del debito che, in proporzione al PIL, è il secondo della zona euro”.
Oltre a mettere l’accento sulla “malattia” economica italiana e sull’impasse del governo, Moody’s segnala due circostanze aggravanti: il possibile ulteriore aumento dei tassi e la crescente percezione negativa dei mercati nei confronti di paesi europei con “alti livelli di debito”, che metterebbe in pericolo la – finora – “continua stabilità nella domanda di titoli di stato italiani”. Il riferimento è, naturalmente, alla crisi greca che negli ultimi giorni ha fatto peggiorare in modo sensibile i costi di raccolta riportando lo spread (differenziale di rendimento) tra i BTp italiani e i Bund tedeschi vicino alla soglia dei 200 punti base (2%).
Che cosa può succedere adesso? Per saperlo bisogna attendere la riapertura dei mercati di lunedì. La reazione delle borse potrebbe essere una prima chiave di lettura dell’annuncio di Moody’s. Una nota analoga, diffusa dell’agenzia di rating Standard & Poor’s a fine maggio per confermare l’outlook negativo dell’Italia, era stata accolta con relativa freddezza dagli operatori finanziari. Ma lunedì il clima potrebbe essere diverso.
Qualunque sia la reazione dei mercati, la palla passerà al governo, che dovrà dimostrare con i fatti la volontà di continuare sulla strada del rigore fiscale. A partire dalla prossima manovra finanziaria, che Moody’s promette di considerare con attenzione nella fase di revisione (o conferma) del rating.
Dal punto di vista politico questo significherebbe l’archiviazione di ogni proposta di taglio delle tasse e la vittoria su tutti i fronti della linea Tremonti. Ogni mossa contraria potrebbe costare il declassamento dell’Italia entro i prossimi 24 mesi. Una prospettiva rischiosissima, che farebbe aumentare sensibilmente i costi di finanziamento del debito e potrebbe riaccendere – già nel breve periodo – le mire degli speculatori sul nostro paese, con conseguenze imprevedibili per l’economia italiana.