Ci siamo. Per l’ex sottosegretario all’Interno e attuale presidente della commissione Ambiente del Senato, Antonio D’Alì, si avvicina il momento della verità. Ieri, dopo due anni lavoro, la Procura di Palermo ha notificato al potente senatore trapanese del Pdl l’avviso della chiusura delle indagini aperte contro di lui per concorso esterno in associazione mafiosa, un atto che solitamente precede la richiesta di rinvio a giudizio. D’Alì deve adesso decidere se farsi ascoltare o meno dai magistrati. La riserva verrà sciolta nei prossimi giorni. Il senatore per il momento non parla. Intervengono invece i suoi legali, gli avvocati Stefano Pellegrino e Gino Bosco, che dicono: “È una storia che si trascina da molto tempo, adesso avremo modo di chiarire ogni cosa”.
L’inchiesta su D’Alì, celebre esponente di una famiglia di banchieri, politici e proprietari terrieri, è stata del resto tormentata. Un anno fa la procura aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine, ma il gip Antonella Consiglio aveva respinto la richiesta e indicato nuovi elementi su cui lavorare. È stato quindi il pm Andrea Tarondo, il magistrato che più di altri si è occupato della presenza mafiosa e dell’infiltrazione di Cosa nostra nelle istituzioni trapanesi, a ricostruire in questi mesi il puzzle investigativo. La parte iniziale dell’inchiesta ruota intorno alla figura del superlatitante Matteo Messina Denaro. Il numero uno della mafia trapanese, e oggi forse di tutta l’isola, lavorò assieme a suo padre Francesco come campiere nei terreni di Castelvetrano della famiglia D’Alì. Poi nel ’93, mentre era impegnato nelle fasi operative delle stragi, Matteo si diede alla fuga. I D’Alì intanto faceva affari e Antonio si dava alla politica entrando nella nascente Forza Italia. Due pentiti, i fratelli Geraci, hanno raccontato anche di una presunta vendita fittizia di un terreno ai mafiosi, mentre altre vicende riguardanti il senatore sono emerse durante i processi per i lavori nel porto di Trapani appaltati (100 milioni di euro) per le gare della Coppa America del 2005.
Gli investigatori considerano questo è uno dei capitoli più interessanti dell’inchiesta. Durante i lavori portuali, secondo l’accusa, la mafia riuscì a infiltrarsi alla grande. I clan, secondo il pm, aveva l’appoggio del senatore e di una serie di imprenditori a lui legati. A raccontare, tra gli altri, i presunti retroscena del gigantesco affare è stato l’ex patron del Trapani Calcio, Nino Birrittella arrestato nel 2005 Ma non basta. Negli atti cìè di più e , forse, di peggio. Per esempio la storia dell’improvviso trasferimento da Trapani, nel 2003, dell’allora prefetto Fulvio Sodano, dopo che questi aveva stoppato il tentativo della mafia di riappropriarsi della calcestruzzi Ericina, una azienda confiscata al boss Vincenzo Virga. Un funzionario del Demanio, Francesco Nasca, condannato a sette anni proprio per questa vicenda, durante il processo ha parlato dei suoi rapporti con D’Alì. E spiegato di aver scritto una proposta di modifica della legge sui beni confiscati per poi consegnarla al senatore. Il tutto mentre una serie di mafiosi parlavano, nelle loro intercettazioni ambientali, proprio della necessità di modificare della legge e di far trasferire Sodano.
Infine nel fascicolo su D’Alì compare pure un’ intervista rilasciata a Sandra Amurri de Il Fatto Quotidiano dall’ex moglie del senatore, Antonietta Aula. Dopo la pubblicazione la donna ha tentato di smentire il contenuto delle sue esplosive dichiarazioni. Ma gli investigatori sono poi riusciti a trovare una serie di riscontri a quanto aveva detto. E adesso le sue parole vengono considerate uno dei capisaldi attorno a cui ruota l’inchiesta sul potentissimo presidente della Commissione Ambiente di Palazzo Madama.
di Rino Giacalone