Il 5 novembre del 2008 la regina d’Inghilterra visitò la prestigiosa London School of Economics e durante la cerimonia fece una domanda passata alla storia come “la domanda della regina”. Ci sono delle versioni discordanti sulle parole esatte che ha utilizzato, ma il senso è questo: “Come mai la maggioranza degli economisti non ha previsto la crisi finanziaria del 2008?” Ricordiamo, infatti, che il fallimento della Lehman Brothers nel settembre del 2008 ha dato origine alla più grande crisi finanziaria dal 1929 e alla recessione di tanti paesi che ancora dura, e che economisti di fama mondiale non sono stati capaci né di prevedere la crisi né di interpretare quello che stava avvenendo. Pochi mesi dopo, nel dicembre 2008, vennero resi pubblici i risultati della Research Assessment Exercise (il modello della nostra Anvur), ovvero della valutazione dell’università e della ricerca inglesi in cui i diversi dipartimenti delle varie discipline sono stati classificati con un voto da 0 a 4. Facendo una classifica delle diverse discipline (fisica, chimica, storia, ecc.) il risultato è stato che “tra tutte le discipline considerate l’economia e l’econometria sono i campi in cui il punteggio è massimo”.
Dunque mentre la “domanda della regina” è stata la cartina di tornasole per mostrare che c’è un problema fondamentale nell’attuale ricerca economica, il risultato della valutazione per le discipline economiche non è stato solo buono, ma il migliore di tutte in Inghilterra. La domanda che si pone Donald Gillies, filosofo della scienza e studioso dei sistemi di valutazione della ricerca, è la seguente: “Com’è possibile che una valutazione così errata sia potuta accadere?” E’ chiaro che ci sia un problema fondamentale con l’attuale corso della disciplina economica se la più grande crisi globale mai avvenuta dal 1929 è esplosa lasciando la maggior parte degli economisti sorpresi. La sua interpretazione, che trovo molto convincente, si sviluppa come segue.
Thomas Kuhn nel suo magistrale La struttura delle rivoluzioni scientifiche ha sviluppato una visione della scienze naturali che è diventata molto nota e ampiamente accettata. Secondo Kuhn, le scienze naturali mature si sviluppano per la maggior parte nel modo che egli descrive come “scienza normale”. Durante il periodo di scienza normale, tutti i ricercatori che lavorano nel campo accettano la stessa struttura d’assunzioni, che Kuhn chiama “paradigma”. Tuttavia, questi periodi di scienza normale sono, di volta in volta, interrotti da rivoluzioni scientifiche in cui è rovesciato il paradigma dominante del campo e sostituito da un nuovo paradigma. La differenza fondamentale tra le scienze naturali e le scienze sociali è generalmente che nelle scienze naturali, fuori dei periodi rivoluzionari, tutti gli scienziati accettano lo stesso paradigma, mentre nelle scienze sociali i ricercatori si dividono in scuole concorrenti. Ogni scuola ha il suo paradigma, ma questi paradigmi sono spesso molto diversi l’uno dall’altro. Il contrasto è dunque tra una situazione con un paradigma singolo e una multi-paradigma.
Ad esempio, tutti i fisici teorici accettano il paradigma il cui nucleo è costituito dalla teoria della relatività e dalla meccanica quantistica. Questo non significa che i fisici teorici contemporanei sono eccessivamente dogmatici: piuttosto pensano che, in qualche momento nel futuro, ci sarà un’altra rivoluzione nel campo, originata da qualche nuova scoperta sperimentale, che sostituirà la relatività e la meccanica quantistica con alcune nuove, e forse ancora più strane, teorie. Tuttavia, essi sostengono, la relatività e la meccanica quantistica funzionano molto bene, nel senso che spiegano i fenomeni naturali, e quindi è ragionevole accettarle per il momento.
Se guardiamo all’economia troviamo una situazione molto diversa: la comunità è, infatti, divisa in diverse scuole. I membri di ciascuna di queste scuole condividono lo stesso paradigma, ma il paradigma di una scuola può essere molto diverso da quello di un altro. Inoltre, i membri di una scuola sono spesso molto critici verso i membri di un’altra scuola. Le diverse scuole, che per semplicità possiamo identificare in quella neoclassica, che ha il numero più elevato d’aderenti al momento, nelle varie versioni del keynesismo e nella scuola marxista, sono associate a ideologie politiche: in particolare queste scuole sono disposte su uno spettro politico che va dalla destra alla sinistra.
Dunque, secondo Gillies, l’esame della comunità dei ricercatori in economia ha portato alla seguente immagine: questa comunità è divisa in una serie di diverse scuole di pensiero A, B, C…, ognuna con il proprio paradigma. I membri d’ogni scuola hanno una pessima opinione del lavoro di ricerca prodotto da altre scuole. Ora, se un sistema di valutazione della ricerc è applicato a questo tipo di comunità, quale risultato darà? La tesi di Gillies, che deriva dallo studio di quello che è avvenuto in Inghilterra negli ultimi venti anni in cui è stata attivata la valutazione tramite Rae, è che i lavori di ricerca dei membri di qualsiasi scuola che abbia il maggior numero di iscritti riceveranno la massima valutazione. Nel caso specifico, la scuola dominate è quella dei neoclassici.
Essere consapevoli di questo tipo di dinamiche sociali, quando si parla di valutazione, è a mio avviso fondamentale: questa è infatti una delle chiavi per poter capire il peso e il significato che si danno ai prodotti della ricerca (articoli scientifici) e ai parametri bibliometrici che ne misurano l’impatto. Non è forse un caso che in Italia, proprio nella discussione della valutazione della ricerca in economia, è avvenuta, nel caso del Civr, una spaccatura tra le diverse scuole di pensiero: il disaccordo è stato sul significato dei diversi strumenti della valutazione e ne è seguita una lettera aperta sulla valutazione in economia da parte di un gruppo di economisti (non neoclassici) a testimonianza del fatto che il dibattito è ancora aperto e lungi dall’essere risolto. Nel caso dell’economia, oltre a delle implicazioni puramente accademiche, pur importanti, come il fatto che i posti vengono assegnati soprattutto ai membri della scuola dominante, c’è una implicazione politica fondamentale: quando è il momento di chiedere una consulenza all’“esperto” su un tema specifico, a chi si rivolgerà il politico di turno se non all’accademico? E, nel nostro tempo, quale categoria di accademici è la più ascoltata dai politici?