“Mr Gorbacev, tear down this wall!”. Signor Gorbacev, butti giù questo muro. Esattamente 24 anni e una settimana or sono, parlando di fronte alla Porta di Brandeburgo, Ronald Reagan pronunciò una frase che avrebbe fatto storia. Quel giorno, a Berlino Ovest come nel resto del mondo, l’umanità iniziò a intravedere i titoli di coda della guerra fredda.
Il più lungo conflitto a bassa tensione di sempre, insomma, stava volgendo al termine e con esso anche il diffuso timore di una soluzione finale chiamata guerra nucleare. Nessuno si stupì, dunque, quando nel luglio del 1991, Usa e Urss siglarono il primo vero trattato di disarmo, quel tanto auspicato Start I che continua a pesare a vent’anni di distanza sulla gestione del programma di smantellamento delle armi atomiche. Eppure, nonostante tutto, l’irresistibile voglia di restyling pare destinata a condizionare ancora in modo abnorme la spesa pubblica delle potenze nucleari. Orientando in tal senso qualcosa come 1.000 miliardi di dollari di investimenti nel prossimo decennio.
A renderlo noto, in uno studio reso pubblico in questi giorni, gli attivisti di Global Zero, una campagna internazionale nata nel 2008 per promuovere lo smantellamento degli arsenali nucleari del Pianeta. Un processo tuttora in atto ma incapace, tuttavia, di bloccare quelle operazioni di rinnovamento degli armamenti che nemmeno la crisi, con il suo enorme impatto sulla spesa pubblica, è riuscita a frenare. “Nonostante la recente firma del nuovo trattato Start e la continua riduzione della dimensione dei loro arsenali, Stati Uniti e Russia continueranno ad aumentare la loro spesa” hanno spiegato da Global Zero alla vigilia dell’apertura dei lavori del summit dell’organizzazione in corso in questi giorni. Un fenomeno che pesa in modo evidente come dimostrano i dati a disposizione.
Nel corso del prossimo decennio, Gli Usa aumenteranno del 21% i propri investimenti nelle sole infrastrutture connesse alle armi atomiche mettendo mano al portafoglio per complessivi 85 miliardi. Nel corso del 2010 le operazioni di gestione e “upgrade” dell’arsenale a stelle e strisce sono state pari a 55,6 miliardi. Nel 2011, sostengono da Global Zero, si dovrebbe arrivare a quota 61,3 compensando così una parte rilevante della spesa totale del mondo (104,9 miliardi contro i 91 del 2010). Condizionata da una tecnologia piuttosto arretrata, la Russia dovrebbe seguire la stessa rotta attraverso interventi di restyling che dovrebbero implicare un esborso di 14,8 miliardi contro i 9,7 di quest’anno.
Ad oggi, nel mondo, soltanto 9 Paesi detengono nelle proprie basi armamenti atomici. Nel corso del 2011 andranno quasi tutti incontro a un aumento della spesa. I costi totali di riarmo sostenuti da Pechino per il rinnovamento dell’arsenale cinese saliranno a 7,6 miliardi nel 2011 contro i 6,4 dell’anno passato, quelli della Francia saliranno a quota 6 (contro i 5,9 del 2010) precedendo nella graduatoria dei fondi Regno Unito, 5,5 (4,5 nel 2010), India, 4,9 (4,1) e Pakistan, 2,2 (1,8). A mantenere uno sforzo costante saranno soltanto Israele, 1,9 miliardi di dollari esattamente come l’anno scorso, e Corea del Nord, i cui costi totali associati al nucleare resteranno fermi a 700 milioni di dollari (da segnalare, per l’altro il dato sull’abnorme spesa militare di Pyongyang, 8,8 miliardi di dollari pari a oltre 1/5 del Pil nazionale, di gran lunga il quoziente più elevato del mondo). Nessuna informazione viene invece fornita sul progetto atomico iraniano visto che la Repubblica Islamica, al momento, non fa ancora parte del club delle potenze nucleari. Lo scorso 26 maggio, l’International Atomic Energy Agency (Iaea) ha reso pubblico un rapporto piuttosto inquietante affermando che Tehran avrebbe “lavorato su un sistema di tecnologia nucleare di innesco altamente sofisticato che, secondo gli esperti, potrebbe essere usato con una sola finalità: il lancio di un’arma nucleare”. Da qualche tempo Washington sospetta che alcune imprese cinese abbiano ripetutamente violato l’embargo Onu rifornendo Teheran di know how e tecnologia nucleare che Pechino aveva ottenuto in passato proprio dagli Stati Uniti. Inizialmente contraria alle sanzioni contro l’Iran, la Russia aveva in un primo tempo garantito assistenza al programma atomico degli Ayatollah salvo poi, a quanto pare, optare per un salutare sabotaggio.
In più tre anni di attività, Global Zero ha ottenuto il sostegno di oltre 400 mila firmatari in tutto il mondo garantendosi l’appoggio di alcuni pentiti storici della teoria della deterrenza atomica negli anni della Guerra fredda tra cui, su tutti, l’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger. Ad offrire sostegno alla campagna anche l’ex premier britannico Gordon Brown, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e presidenti Barack Obama e Dimitri Medvedev. “Il progresso verso un mondo senza armi nucleari rappresenta un obiettivo di lungo termine della nostra politica estera. La Russia sta attuando misure su larga scala per la riduzione del suo potenziale nucleare” si legge in una nota inviata dallo stesso inquilino del Cremlino ai partecipanti del vertice londinese. Peccato che né lui né il suo collega della Casa Bianca, tuttavia, abbiano voluto spiegare per quale motivo i loro Paesi abbiano scelto, nonostante l’effettiva riduzione dell’arsenale, di scaricare sui contribuenti miliardi di dollari di spesa per finanziare l’aggiornamento tecnologico degli armamenti.