Non si dimette. E anzi rilancia il sindaco Vignali: “La giunta va avanti”. Il primo cittadino annuncia quella che dovrebbe essere una svolta epocale: “Una struttura di controllo” da lui stesso presieduta per “non essere più all’oscuro” di quel che avviene tra i suoi dirigenti. “C’era troppa autonomia – dice Vignali all’indomani degli undici arresti e della protesta della piazza – sono dispiaciuto di questi episodi, anche se sono solo casi singoli”. Ecco allora il colpo da maestro: “Azzereremo i dirigenti apicali di area che di fatto controllano l’amministrazione e daremo più potere alla politica”. Per questo, l’intenzione è di costituire una commissione per rendere “partecipe anche la minoranza in consiglio comunale”.
Dopo la “rivolta” di ieri, insomma, il sindaco di Parma ci mette una pezza. Come a dire che se due dirigenti erano corrotti, a pagare saranno tutti gli altri che magari corrotti non sono. Pazienza, via la tentazione: tutti declassati, demansionati e con riduzione di stipendio. Ma non lui, che anzi rinnova il suo dispiacere ma dice: “Questi episodi non devono rovinare la buona amministrazione della città”.
Fuori dal municipio, dove va in scena il Vignali-pensiero, però, la città un suo giudizio lo ha già dato. E c’è da pensare che sarà un giudizio pesante nel 2012, quando i parmigiani torneranno alle urne per le elezioni. “Il sindaco non si dimette? Ghe quel ca strusa, tal dig mi”. Per capire la città il giorno dopo la “rivolta”, bisogna ascoltare il dialetto che giovani e meno sfoderano arrotando la erre per rispondere alle domande del cronista. Tradotto dalla cadenza un po’ grassa della parlata parmigiana: “Vignali non si dimette? Qui qualcosa non torna, credi a me”.
Piazza Ghiaia di sabato è il ventre pulsante della città. Qui è da pochi mesi tornato il mercato del centro. Qui campeggiano, evidenti, la voglia di grandezza del sindaco Vignali e il suo fallimento. Già, perché quando si chiede cosa pensino i parmigiani del loro primo cittadino, molti non fanno neanche la fatica di rispondere. Sconsolati alzano un braccio e ti indicano la piazza. “Pèra miga d’esor a Perma, pèra d’esor a Catania” dice una commessa: “Non sembra Parma, ma Catania”.
La piazza, faraonica evoluzione dei banchi in lamiera prima e delle casette in legno poi, è un monumento che non piace a nessuno e non è mai finito. La tela di vetro retta da una pesante intelaiatura di metallo che la copre, nascondendo la skyline elegante dei vecchi palazzi, ha fatto gridare allo scandalo, ha richiesto anni di cantieri che ancora montano e disfano. Con il caldo poi, quando il sole si riflette la copertura diventa uno specchio ustore che riverbera sulle case attorno. Per non dire dell’acqua che cade tra le fessure del tetto quando piove e fa cascata, o di quella che penetra nei negozi a fianco e filtra nei piani sotterranei ancora in costruzione. Con punte comiche. Come quando il nuovo lungo fiume (“la Pèrma”, ed è un torrente), appena riasfaltato, è stato riaperto in fretta e furia perché qualcuno si era dimenticato i tombini. Proprio a fianco delle aiuole inaridite dove dovevano crescere le rose da 180mila euro che sono valse l’arresto ai dirigenti e agli imprenditori coinvolti nell’inchiesta Green money. Insomma, il sindaco Pietro Vignali potrà anche non essere indagato e non dimettersi, ma il giudizio, netto, gli abitanti lo regalano senza bisogno di traduzioni: “Non sapeva niente? Mo’ co el? Imbambì?”.
Dopo la manifestazione di ieri, in realtà tutto oggi sembra tornato normale: la movida, da sempre sostenuta a più non posso dal primo cittadino, già ieri sera sostituiva le proteste in piazza Garibaldi e sciamava per le vie del centro. In molti però aspettano il sindaco al varco, e non è escluso – dicono dai collettivi – che martedì, in occasione della seduta del consiglio comunale la protesta possa tornare di fronte al municipio.
Gli 11 arresti di ieri arrivano in ogni caso in fondo ad una lunga scia di fallimenti e grattacapi per l’amministrazione retta dal centrodestra civico di Vignali. E così, se fino a pochi anni fa la piccola Parma poteva vantarsi di una qualità della vita eccellente – anni e anni nei primi posti della classifica stilata dal Sole 24 Ore – ora la città di Maria Luigia si ritrova senza la sua nobile grandeur ma piena di parvenu, di cemento, di opere inutili e costose e progetti da mille e una notte che probabilmente non vedranno mai la luce. A cominciare dalla metropolitana, sogno per niente a buon mercato dell’ex primo cittadino Elvio Ubaldi – prima mentore, ora sempre più avversario di Vignali – che doveva aiutare la città a crescere dagli attuali 180mila ai 400mila abitanti desiderati per diventare “città europea”. A Parma del resto è arrivata l’Efsa, l’authority alimentare della Ue, e nella food valley italiana in molti hanno a lungo creduto che la città potesse trovare gloria nel presente, invece di vivere di quella ingiallita dei tempi di Napoleone.
Peccato (o per fortuna) che la metro mai vedrà la luce, smontata dai ricorsi e dalla impraticabilità economica. Intanto però in città si fanno ponti coperti, si costruiscono intere aree immobiliari mentre altre si svuotano e diventano ghetti, si moltiplicano i centri commerciali, si rinnova la stazione con un progetto immenso. E soprattutto si fanno debiti: 500 milioni la stima di quelli accumulati dalle società partecipate del Comune. Decisamente tanto, se pure i revisori dei conti hanno deciso pochi mesi fa di salutare e rimettere l’incarico.
Eppure, dicono in molti, esattamente come nel caso Parmalat, se non fossero arrivate le manette, la città avrebbe continuato a sonnecchiare. Complice anche una opposizione – Pd in testa – a lungo resa immobile dalla lunga trafila di primarie, elezioni e nomine per comporre il vertice. Saldamente al comando della provincia, da più di un decennio la sinistra arranca in città. Questa mattina invece i democratici erano riuniti in un cinema stracolmo per dare una lettura e un rilancio alla politica cittadina. Con lo stato maggiore cittadino c’erano anche il sindaco di Torino, Piero Fassino e il governatore Errani. E se il primo si è rifiutato di parlare di “casi locali” è da quest’ultimo che è arrivato l’attacco più duro: “Quel che è successo è piombo nelle ali della città. La destra in questa città ha finito, deve andarsene”.
Una lettura che paradossalmente combacia quasi con quella, persino più esplicita, della Gazzetta di Parma. Il giornale più vecchio d’Italia, uno dei più diffusi in rapporto alla popolazione, 40mila copie vendute. Di proprietà dell’Unione industriali – che a Parma vuol dire Barilla, Bormioli, Chiesi, Parmacotto, tanto per citare i più importanti – il quotidiano normalmente mantiene un basso profilo vicino al centrodestra. Ma stamattina Vignali non può non aver letto l’editoriale del direttore Giuliano Molossi: “Il sindaco non può limitarsi a dire non sapevo nulla. Ci mancherebbe altro. Ma quei dirigenti li conosceva personalmente, li ha scelti e nominati lui. […] Se gli riuscisse di restare in carica – spara Molossi ad alzo zero – prenda in mano una scopa e faccia un po’ di pulizia (quella che non ha fatto finora) prima che sia troppo tardi. Non è detto che quelli rimasti a piede libero siano tutti degli angioletti”. Detto, fatto, viene da dire.