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Il videogame è un diritto

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È una sconfitta di tutti gli “apocalittici” nel mondo. La Corte suprema degli Stati Uniti ha bocciato una legge della California che vietava la vendita o il noleggio di videogame violenti ai minorenni, giudicandola lesiva del diritto alla libertà di espressione sancito dalla Costituzione (la Corte si è espressa con sette voti favorevoli e due contrari). La legge sui videogiochi, approvata dalla California nel 2005 e fortemente voluta dall’allora governatore Arnold Schwarzenegger, era stata subito impugnata da editori, distributori e venditori (protagonisti di un mercato da 10,5 miliardi di dollari).

Nella legge si definiva “violento” qualunque videogioco che mettesse in scena “uccisioni, mutilazioni, smembramenti o aggressioni sessuali contro un’immagine dalle sembianze umane”, e prevedeva multe per venditori e noleggiatori. Nella sentenza, la Corte è andata anche oltre il divieto e ha accolto la tesi secondo cui anche i videogame sono veicoli di messaggi e idee sociali, che ricadono quindi sotto la tutela del Primo emendamento. “Il governo non ha il potere di limitare le idee alle quali i minori possono essere esposti” ha dichiarato il giudice Antonin Scalia. Rappresenta bene le posizioni oscurantiste, invece, il senatore californiano Leland Yee, autore della legge: “L’industria dei videgame continuerà a fare miliardi di dollari a spese della salute mentale dei nostri ragazzi e della sicurezza della comunità”.

Il senatore forse, non ha mai letto Tutto quello che fa male ti fa bene di Johnson Steven, testo fondamentale della cultura contemporanea che spiega come i videogame sviluppino capacità di analisi, di indagini per supposizione (non è questo il metodo scientifico?), e di telescoping: puntare a un obiettivo organizzando le priorità. E sicuramente, il senatore , come molti soloni che in Italia non mancano, non ha mai provato sul campo quanto possa essere divertente giocare a Grand Theft Auto.

Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2011

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