E alla fine sulla manovra scoppia il caos. Restano forti, infatti, i dubbi sul futuro del comparto delle energie rinnovabili, dopo che all’annuncio dei tagli ha fatto eco la smentita del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, a sua volta smentita dal ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani che conferma i taglia ma con postilla: non ricadranno sulle bollette. Quindi il capolavoro finale: il govenro smentisce addirittura la presenza dei due commi (10 e 11) incriminati. Una cosa è certa. Le rinnovabili sarebbero l’ultima potenziale vittima delle strategie di austerity pensate dal governo per raggiungere quel pareggio di bilancio programmato per il 2014.
Ricapitoliamo i fatti. Le prime notizie sono arrivate in mattinata quando le indiscrezioni giornalistiche avevano parlato di un taglio drammatico agli incentivi verdi: un meno 30% dalle conseguenze presumibilmente drammatiche per un settore, ha ricordato il responsabile Energia della Cgil Antonio Filippi, capace di registrare, caso più unico che raro, “una crescita dei livelli occupazionali” impiegando “al momento oltre 150mila addetti”. Nelle ore successive, è giunta la smentita del governo, attraverso le parole del ministro dell’Ambiente Prestigiacomo. Dopodiché è toccato a Romani. “Nel testo definitivo – ha detto – non c’è nessun taglio degli incentivi per le energie rinnovabili”. Quinadi ha spiegato: “Il Cdm ha convenuto sull’eliminazione della riduzione del 30% di tutte le agevolazioni e incentivi che oggi gravano sugli oneri di sistema presenti sulle forniture di energia elettrica e gas. Nel tardo pomeriggio si cambia di nuovo: i tagli sarebbero effettivamente previsti ai commi 10 e 11. Poi l’ennesima smentita: il decreto, dice il governo, contiene solo 9 commi. Che ne è degli altri due? Mai esistiti? Cancellati in seguito? Per ora non è dato saperlo.
Un buffo balletto, insomma, che rende ancora più fastidioso il senso di smarrimento che circonda gli operatori del settore ai quali il provvedimento rischia di togliere il sonno nei mesi a venire. E sì, perché nonostante tutto, il comparto resta fortemente dipendente dal sistema degli incentivi. Un sistema che costa, certo, e il cui peso viene scaricato sulle bollette, ovvero sui contribuenti. Ma anche un meccanismo che si starebbe rivelando efficace come dimostra il momento magico del settore, che in Italia ha conosciuto una vera e propria esplosione negli ultimi tre anni, e come sottolineano, al tempo stesso, le cifre del mercato elettrico, vera e propria cartina al tornasole di un effetto calmierante di cui si iniziano a vedere i benefici.
La dimostrazione sta nel principio della concorrenza, un principio sancito da una realtà che vede il solare in prima linea in quella competizione tra comparto “verde” e settore fossile che, nel segmento fotovoltaico, starebbe spingendo al ribasso proprio il costo dell’energia elettrica. Un caso emblematico quello dei pannelli solari, che evidenzia l’efficacia degli incentivi anche sul fronte dei costi finali, quelli, per intenderci, che compaiono in fondo alle bollette dei cittadini.
A spiegarlo uno studio realizzato da Aspo – Associazione per lo Studio del picco del petrolio – a partire dai dati resi noti da Terna e presentato a maggio in occasione delle Assise Generali di Confindustria. Il fotovoltaico, si rileva, presenta tuttora bassissimi costi di produzione su cui influisce la riduzione del prezzo dei pannelli così come la sua indipendenza dal prezzo del petrolio e del gas. Due elementi che hanno consentito al solare di presentare offerte più competitive nel cosiddetto “mercato del giorno prima” della Borsa elettrica, dove il prezzo dell’elettricità viene fissato con 24 ore di anticipo sulla base della regola dell’offerta marginale. Uno schema abbastanza complicato in cui ogni operatore interviene con un prezzo sempre più alto fino alla compensazione dell’intera domanda. E nel quale l’ingresso di operatori capaci di soddisfare le richieste a prezzi ridotti genererebbe un sostanziale risparmio. Secondo i ricercatori, dal 1 marzo al 14 aprile scorso, le rinnovabili avrebbero ridotto il costo dell’energia elettrica facendo risparmiare da 21 a 34 milioni di euro, compensando in parte il peso degli incentivi al solare fotovoltaico (106 milioni di euro all’anno). Nei mesi estivi, con la disponibilità maggiore di sole, l’effetto dovrebbe essere ancora maggiore.
A favorire questo trend, certo, anche la riduzione degli incentivi che rende più facile la loro compensazione. Ma il gioco ha comunque un limite visto che la presenza di questi ultimi favorisce la sopravvivenza di più operatori e quindi un aumento della concorrenza. Un equilibrio sottile, insomma, che rischia ora di spezzarsi. Ma il problema del sostegno pubblico al solare non è tutto, visto che a pesare sulle bollette sembrano essere ben altri contributi. E già, perché accanto ai finanziamenti alle rinnovabili si collocano da tempo le famigerate voci criptiche delle bollette a cominciare dall’Iva per proseguire con gli incentivi per le fonti assimilate e ai costi di smantellamento delle centrali nucleari che a 25 anni di distanza dal referendum post Chernobyl sono ancora scaricati sui cittadini, Legambiente ha calcolato che nel 2010 la somma dei costi non legati alle rinnovabili abbia pesato sulle bollette per più di 3 miliardi di euro. Quelli associati alle fonti alternative (Cip 6, Conto energia fotovoltaico, Tariffa onnicomprensiva e certificati verdi) sono stati pari a circa 2,7 miliardi.