Sentenza con maxi-sconto. Poco meno di 200 milioni. Di tanto è stato abbassato il conto (comunque salatissimo) che Silvio Berlusconi dovrà pagare al suo storico avversario Carlo De Benedetti. La sentenza d’Appello, le cui motivazioni sono state depositate questa mattina, è immediatamente esecutiva. Si conclude così la vicenda del cosiddetto lodo Mondadori. In primo grado la Fininvest del Cavaliere era stato condannata a pagare 750 milioni di risarcimento. L’intera vicenda in sede civile prende spunto dall’iter penale che ha visto le condanne di Previti, Metta, Pacificio e Acampora per corruzione dello stesso giudice Metta che, fu provato dall’accusa, ricevette denaro per modellare a favore del Cavaliere la disputa con Formenton prima e con la Cir di De Benedetti poi per la conquista della maggiore casa editrice italiana.
“La sentenza Metta fu ingiusta”. Questo scrivono oggi i giudici. Per i quali “con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato”. Il riferimento è alla decisione del 24 gennaio del 1981 della Corte d’Appello di Roma che stabili’ invece nulli gli accordi intervenuti in precedenza tra la famiglia Formenton e la stessa Cir riconsegnando così la Mondadori a Berlusconi. Inoltre, nelle 300 pagine del documento si sostiene che la Cir subì un danno immediato e diretto dalla sentenza Metta. Si tratta di una tesi diversa da quella prospettata dal giudice di primo grado, Raimondo Mesiano, il quale invece parlò di “perdita di chance”, nel senso che la sentenza frutto della corruzione indebolì la posizione negoziale di Cir nei confronti di Fininvest.
L’inchiesta penale è iniziata nel 1996 dopo le dichiarazioni di Stefania Ariosto. Il processo, arrivato in Cassazione nel 2007, ha stabilito che Cesare Previti fece arrivare a Metta 400 milioni di lire. Un bel tesoretto veicolato grazie alla collaborazione degli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. Il pagamento, ricostruiscono i giudici, è servito a pagare il verdetto con il quale lo stesso Metta annullò il lodo Mondadori di allora. In primo grado, infatti, la contesa per la casa editrice, inizialmente nelle mani della famiglia Formenton, era andata a De Benedetti. E solo in secondo grado, e grazie alla corruzione, la partita è girata a favore del presidente del Consiglio. Che, trovatosi in una posizione di forza, ha potuto condurre la mediazione con Cir. E lo ha fatto grazie all’intervento dell’allora andreottiano e oggi deputato Pdl Giuseppe Ciarrapico. La spartizione conclusiva ha visto il Cavaliere incassare il gruppo editoriale con i libri, il settimanale Panorama e 365 miliardi in contanti. A De Bendetti invece sono andati l’Espresso, Repubblica e i quotidiani locali Finegil.
La somma fissata oggi dai magistrati prevede il risarcimento in 540 milioni. Quindi gli interessi legali pari al 2,5% e contabilizzati a partire dall’emissione della sentenza di primo grado, vale a dire dall’ottobre 2009. Quindi le spese legali fissata a 8 milioni. Alla base, poi, del maxi-sconto ci sono le conclusioni della consulenza tecnica. Obiettivo capire “se fra giugno 1990 e aprile 1991 siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti”. Risultato: i periti hanno calcolato una riduzione del 18,8%.
La questione ora è capire quali saranno i tempi del risarcimento. Nella giustizia civile le sentenze diventano subito esecutive. In questo caso, però, le due parti, il giorno dopo la sentenza di primo grado, raggiunsero un accordo per congelare il pagamento in cambio di una fidejussione da 800 milioni prestati da quattro banche alla Fininvest in favore della Cir. Ottenuto questo, la corte si impegnò a concludere l’Appello (iniziato nel febbraio 2010) in tempi brevi. A questo punto, ancora pochi giorni utili a ritirare la sentenza e la Cir di De Bendetti potrà andare all’incasso dei 560 milioni di euro. Ed è proprio questo passaggio che il Cavaliere voleva evitare. E per farlo ha infilato un codicillo (poi ritirato) nella manovra per bloccare il pagamento in attesa del giudizio della Cassazione.