“Quanto torni a casa, picchia tua moglie: tu non sai perché le dai, ma lei potrebbe sapere perché le prende. Nel frattempo, sforzati di costruire una relazione più stabile con le amanti”. Queste, in soldoni, le minacce contenute nello schema di regolamento in materia di tutela del diritto d’autore, approvato da AGCOM, a braccetto con i produttori di contenuti multimediali, lo scorso 6 luglio.
Il testo parte da una premessa che infonde speranza: operare “nel rispetto dei diritti e delle libertà di espressione del pensiero, di commento, critica e discussione”, escludendo nel contempo dalla regolamentazione gli scambi di contenuti che avvengano direttamente tra gli utenti, come ad esempio le reti peer to peer. Fedele a questa impostazione, l’articolo 6 esclude dalla procedibilità quei contenuti diffusi nei limiti delle eccezioni previste agli articoli 65 e 70 della Legge sul diritto d’autore.
Prima stranezza: all’articolo 65 della Legge sul diritto d’autore internet non viene neppure nominata (neppure come integrazione successiva al 1941). Si dice solo che gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso possono essere diffusi esplicitamente su “riviste o giornali, anche radiotelevisivi”, a patto che la loro riproduzione non sia stata “espressamente riservata”. Dunque, giacché qui si parla di internet, a voler essere pignoli non stiamo escludendo un gran ché dall’ambito di applicazione dello schema di regolamento Agcom. Tra l’altro, a peggiorare la situazione, la maggior parte degli articoli dei giornali recano chiaramente la dicitura “riproduzione riservata”. Di internet si parla solamente all’articolo 70 della Legge sul diritto d’autore, ma solo per consentire l’utilizzo parziale delle opere protette da copyright nell’esclusivo ambito di utilizzo didattico o scientifico, peraltro demandando ad un successivo decreto ministeriale la definizione di cosa si intenda per “uso didattico o scientifico”. Dunque le eccezioni dichiarate all’interno dell’articolo 6 dello schema di regolamento Agcom, a voler ben guardare, rappresentano più che altro una manifestazione di buona volontà che lascia il tempo che trova. All’articolo 10 l’Agcom specifica quali siano i criteri di valutazione dei predetti articoli 65 e 70 ma ribadendone sostanzialmente la stessa terminologia, solo specificando con maggiore enfasi che l’utilizzo del materiale protetto non deve avere finalità commerciali né scopo di lucro. Si attende ancora che qualcuno chiarisca cosa si intenda per scopo di lucro, dato che solitamente i contenuti pubblicati sulla rete internet sono accompagnati dalla presenza di banner pubblicitari che nella maggior parte dei casi non rendono che pochi spiccioli. Qual è il confine che separa il mero rimborso spese dal lucro? In assenza di tale netta demarcazione, siamo tutti a rischio. Con il famigerato Decreto Romani, quantomeno, si è stabilito che le web-tv che fatturano meno di 100mila euro l’anno (pura utopia per il 99,99% dei blogger italiani che si accontenterebbero di guadagnare un trentesimo o un quarantesimo) non sono soggette alle disposizioni normate dal recepimento italiano della direttiva AVMSD. Sarebbe cosa buona e giusta tirare una riga anche in questo caso e stabilire definitivamente cosa si intende per scopo di lucro.
Cosa succede, dunque, nel caso in cui un produttore di contenuti verifichi l’utilizzo illecito di un suo contenuto all’interno, supponiamo, di un video caricato su YouTube? Fa una segnalazione (notice and take down) al fornitore del servizio di media audiovisivo (YouTube), che è un soggetto ben distinto dall’uploader (colui che ha caricato il video). A questo punto YouTube (o il gestore del vostro blog, se stiamo parlando di materiale contenuto in un post, o voi stessi se avete direttamente in gestione la piattaforma) dovrebbe, “ove possibile, darne notizia all’uploader, il quale ha la facoltà di presentare le proprio controdeduzioni” (articolo 6, comma 2). Cosa implica quell’“ove possibile”? Che se non è possibile, il fornitore del servizio di media audiovisivo ha facoltà di provvedere alla rimozione del contenuto senza darne notizia all’uploader. E del resto YouTube come potrebbe notificare a un suo utente che un video del suo profilo è stato oggetto di una notifica di tipo “notice and take down”? Naturalmente per email, ma poiché non sussiste obbligo alcuno all’utilizzo di un servizio di posta certificata nei rapporti tra YouTube e i suoi utenti, ne consegue che la segnalazione è aleatoria e che quell’”ove possibile” significa molto più probabilmente un lugubre “mai”. Tanto più che l’uploader ha solo quattro giorni di tempo per presentare le prove che lo scagionano dall’avere infranto le leggi sul copyright. Cosa è probabile che faccia il fornitore del servizio di media audiovisivo o il gestore del sito che riceve una notifica di violazione copyright per un contenuto caricato da terzi, considerata la scarsa probabilità di avere una risposta in tempi così stretti dall’uploader e, soprattutto, considerata l’entità della sanzione economica in cui incorre se, alla fine del procedimento, non rispetterà l’eventuale richiesta di rimozione finale? Già, perché all’articolo 15, comma 2, si dice chiaramente che la multa comminata a chi non ottempera alle disposizioni dell’Autorità è regolata dall’articolo 1, comma 31, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Parliamo di una cifra che va da 20 milioni delle vecchie lire a 500 milioni, ovvero da circa 10mila a 250mila euro. E’ evidente che la quasi totalità dei contenuti oggetto di notifica verranno rimossi senza attendere le eventuali controdeduzioni dell’uploader. E che ciò sia possibile è confermato dal comma 1 dell’articolo 7, il quale norma la procedura di opposizione alla rimozione selettiva (“rimozione selettiva” ricorda tanto le bombe intelligenti). E’ lì che si dice che l’uploader, ove ritenga che il contenuto sia stato rimosso ingiustificatamente, può presentare le sue controdeduzioni (counter notice). E’ ovvio che se nelle intenzioni dell’Agcom il contenuto non avesse potesse essere rimosso prima che all’uploader fosse concessa la possibilità di difendersi, questo comma non avrebbe avuto senso. Una volta che il coraggioso e piccolo Davide abbia presentato a Golia-YouTube le sue controdeduzioni, quest’ultima avrà quattro giorni per ripristinare il contenuto rimosso, garantendosi così che la procedura verrà portata dal detentore del copyright dinnanzi all’Agcom per l’apertura dell’istruttoria, con il rischio dei famigerati 250mila euro di cui sopra. Pensate che esista un solo fornitore di servizi di media audiovisivi che sia tanto incosciente e scavezzacollo da ripristinare un contenuto oggetto di contestazione, se non sarà la stessa Agcom a disporlo al termine di tutta la procedura? No: non son siete così ingenui, lo so.
E così siamo arrivati al punto in cui il nostro contenuto, dopo una segnalazione di notice and take down, per non saper né leggere né scrivere è stato rimosso da YouTube. Facciamo pure finta che siamo stati così fortunati da essercene accorti entro quattro giorni, nonostante una semplice email abbia ottime probabilità di essere letta e processata in un tempo significativamente maggiore, e abbiamo inviato una bella counter notice, alla quale il nostro fornitore di servizi media audiovisivi ha prevedibilmente risposto facendo spallucce. Non ci resta che rivolgerci all’Agcom per ottenere giustizia e fare ripristinare il nostro contenuto multimediale. A partire dalla scadenza dei quattro giorni, abbiamo dunque sette giorni per investire della questione l’Autorità, la quale entra in una fase di pre-istruttoria, ove sostanzialmente verifica la procedibilità. Tale fase non ha alcun vincolo di durata, e dunque può essere lunga a piacere. Se per caso abbiamo segnalato la nostra counter notice oltre il termine dei quattro giorni, siamo fregati e il nostro contenuto è perduto per sempre. Altrimenti l’Autorità invia agli attori una notifica di apertura dell’istruttoria vera e propria. A questo punto sono passati almeno 4 + 7 = 11 giorni. E’ vero che i 7 giorni dipendono da noi, ma non avendo la fase di pre-istruttoria una durata massima, è più probabile che quegli 11 giorni diventino 20 piuttosto che si riducano a 10.
L’istruttoria, fortunatamente, una durata massima ce l’ha: 35 giorni. La Direzione si prende 20 giorni e poi trasmette le sue decisioni all’organo collegiale (articolo 11, comma 5), L’organo collegiale ha facoltà di allungare il procedimento di ulteriori 15 giorni per richiedere lo svolgimento di nuovi approfondimenti. Dopo un massimo di 35 giorni, dunque l’Agcom assume un provvedimento definitivo e lo trasmette al fornitore di servizi di media audiovisivi o radiofonici (YouTube), il quale deve adeguarsi a quanto disposto. Quanto tempo ha YouTube (o il gestore del sito) per adeguarsi? Non è precisato, dunque aggiungiamo un altro punto di domanda alla nostra agenda dei tempi.
Se dunque un nostro contenuto multimediale dovesse venire illegittimamente segnalato come lesivo dei diritti d’autore di qualcuno che ne faccia segnalazione, con tutta probabilità dovremo subire l’ingiustizia di vedere il nostro contenuto sparire dalla rete per un tempo che può abbondantemente superare i 2 mesi. Questo risulta dalla somma delle varie fasi così come illustrate in precedenza, ovvero 11 + ? + 35 + ? = 46 + ? = 60 giorni di buio ad essere discretamente ottimisti. Stiamo parlando di due mesi, sempre che riusciamo ad accorgercene e ad espletare le procedure burocratiche in tempo, e sempre che l’Autorità ci dica bene e disponga il ripristino del contenuto. Due mesi nei quali potremmo essere costretti a subire l’ingiustizia della rimozione di un contenuto, la quale si traduce in un danno economico, morale e biologico (il fegato che mi faccio nell’essere costretto a subire la prepotenza di una Mediaset qualsiasi che paga eserciti di lavoratori dediti alla segnalazione di contenuti multimediali, resi vulnerabili dall’assenza di una legge chiara sul fair use, che facciano uso anche di pochi secondi di telegiornale).
Perché non si vieta che la rimozione di un contenuto possa avvenire prima di avere ricevuto le controdeduzioni dell’uploader, imponendo strumenti di notifica più efficaci di una semplice email? Altrimenti, sarebbe come se io e il mio vicino di casa litigassimo per il possesso di una bicicletta e io avessi il diritto di requisirgliela prima che lui abbia anche soltanto potuto provare a difendersi. Da cosa deriverebbe questo privilegio che l’industria dei contenuti può vantare nel disporre del mio lavoro e della mia fatica, costringendomi ad un inseguimento affannoso?
E se il sito è registrato all’estero? Peggio che andar di notte, perché se il soggetto è attivo in Italia (e per esempio, chi può sostenere che YouTube non lo sia?), “l’organo collegiale può ordinare al fruitore di servizi di media audiovisivi o radiofonici […] la cessazione della trasmissione o della ritrasmissione di programmi audiovisivi diffusi in violazione delle norme sul diritto d’autore” (articolo 14). Il tutto senza passare dal via, ovvero senza la procedura burocratica così come è stata descritta più sopra.
Insomma, l’Agcom è come quel marito che, nel tornare a casa, ogni sera picchia sua moglie presupponendo che lei abbia qualcosa da nascondere, prima di ricevere qualunque giustificazione (proverbialmente parlando, si intende: in nessun caso è ammissibile che moglie e marito si picchino vicendevolmente). O, se volete, l’Autorità assume su di sé il ruolo dei Precog di Minority Report, che vedevano i crimini prima che venissero commessi e inviavano le forze dell’ordine ad arrestare i colpevoli, per impedire che si macchiassero di un reato.
Ma c’è di più: l’Agcom pretende di creare un canale preferenziale addirittura con le amanti. La prima parte dello schema di regolamento infatti è dedicata allo sviluppo e alla promozione dell’offerta legale. Sostanzialmente, gli articoli 3, 4 e 5 descrivono la costituzione di un tavolo tecnico che, tra gli altri obiettivi, al punto e) del comma 2 dell’articolo 4 prevede la “promozione di accordi tra operatori volti a semplificare la filiera di distribuzione dei contenuti digitali in ordine alle nuove modalità di fruizione favorendo l’accesso ai contenuti premium”. Senonché al tavolo tecnico partecipano, oltre ai rappresentanti dei produttori di contenuti multimediali, anche i fornitori di servizi. Questi ultimi sono definiti dallo schema di regolamento come l’insieme dei fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici e dei prestatori di servizi, intesi come i fornitori di servizi di mere conduit, di caching o di hosting. Insomma, tra i prestatori di servizi, possono trovare una sedia sia i motori di ricerca che gli internet service provider, oltre naturalmente ai fornitori di servizi di hosting (le società che affittano o vendono server e banda grazie ai quali batte il cuore dei siti web). Cosa c’è di male? E’ presto detto: mai sentito parlare di Neutralità della Rete? E’ un principio fondamentale che afferma la neutralità del mezzo di trasmissione, ivi inclusi le infrastrutture di rete e i servizi software che consentono di navigare e trovare i contenuti, rispetto ai contenuti stessi. “All bits are created equals” (tutti i bit sono creati uguali) afferma il teorema più importante alla base della teoria della cosiddetta Net Neutrality. Significa per esempio che internet resterà il più grande spazio di libertà mai conquistato nell’ambito del principio della libertà di parola dalle moderne democrazie, solo fintantoché gli scritti o i video creati dall’ultimo dei cittadini connessi alla rete avranno la stessa identica possibilità di essere trovati e consultati rispetto ai contenuti creati dalla più grande delle multinazionali. Consentire all’industria dei contenuti di avvalersi di canali privilegiati, vuoi per l’avere contrattato posizioni di rilievo nei risultati dei motori di ricerca o all’interno dei widget inclusi nelle internet-tv, vuoi per l’avere a disposizione quantità di banda larga riservate a discapito degli user generated content (i cosiddetti UGC) apre la porta a conseguenze disastrose e irrimediabili nel principio di uguaglianza che attualmente la rete ancora garantisce.
In America le corporation multimediali stanno cercando da lungo tempo di creare abbonamenti diversificati a internet, che in base al prezzo mensile corrisposto consentirebbero agli utenti una navigazione controllata e ristretta ai soli siti web accessibili secondo il pacchetto prescelto. In Turchia 40mila persone sono scese in piazza il 15 maggio scorso per scongiurare la creazione da parte di una commissione governativa equiparabile all’Agcom (la BTK) di una internet suddivisa per fasce (standard, famiglia, bambini…) che dovrebbe entrare in vigore il 22 agosto p.v. L’elenco dei siti web raggiungibili da ogni fascia sarà creato e gestito segretamente dalla BTK ed ogni famiglia sarà costretta a decidere a quale pacchetto aderire. Ovvie le implicazioni a livello di censura che tale evoluzione oscurantista determina quando viene meno il principio della Neutralità della Rete. Pensate a cosa succederebbe in Italia se, a quei trenta milioni di cittadini che ancora non sono connessi alla rete, gli Internet Service Provider offrissero un abbonamento semi-gratuito dove è possibile navigare solo sui siti istituzionali, su quelli dei principali quotidiani nonché delle televisioni nazionali. Resterebbero in pochi, specialmente in tempi di crisi, ad avere la consapevolezza della necessità di dover pagare un prezzo più elevato per avere accesso a tutti i siti web, comprese le fonti di informazione alternative, pur di scongiurare il rischio di replicare il sostanziale monopolio dell’informazione che si è determinato dall’invenzione della televisione in poi.
Lo stesso accadrebbe se i motori di ricerca permettessero di trovare con estrema facilità solo i contenuti che l’Agcom definisce premium, relegando tutti quelli prodotti in piena autonomia da milioni di cittadini qualunque, il cui contributo al pubblico dibattito è però un efficace anticorpo a tutela della conquista democratica, ad un sostanziale anonimato (perché quello che non compare nella prima pagina di Google, è brutto dirlo, per i più non esiste). Lo stesso accadrebbe, parimenti, se gli internet service provider o i gestori dei siti web riservassero il 90% della banda al transito dei contenuti multimediali premium verso le case degli utenti, rendendo estremamente noioso se non quasi impossibile il download di un video prodotto da un cittadino qualunque, ottenendo l’effetto in di incentivare sì, i contenuti premium, dissuadendo però nel contempo i navigatori dalla visione di fonti di informazione alternative. Ecco: il tavolo tecnico che l’Agcom sta predisponendo accoglierà esattamente questi attori al fine di trovare un accordo per favorire i contenuti premium. C’è da dubitare che si preoccuperanno eccessivamente della Neutralità della Rete, a meno che non siamo noi a esercitare sufficienti pressioni per ricordargliene l’importanza.
Io non voglio una internet di contenuti premium, ma casomai una internet di contenuti premiati che si conquistano da sé una maggiore visibilità grazie all’apprezzamento spontaneo e democratico dei cittadini digitali, grazie al passaparola e grazie ai meccanismi di condivisione. Che già ci sono e che funzionano bene.
Il privilegio riservato ai contenuti migliori e le liste dei buoni e dei cattivi (articolo 3, comma 1) lasciamoli ad altri paradigmi di società bocciati dal tempo e dalla storia.
p.s. Qui un video esaustivo sulla lunga, triste storia degli attacchi alla rete nel nostro paese.
Claudio Messora
Consulente per la comunicazione Movimento Cinque Stelle
Media & Regime - 13 Luglio 2011
60 giorni di buio: un horror by Agcom
“Quanto torni a casa, picchia tua moglie: tu non sai perché le dai, ma lei potrebbe sapere perché le prende. Nel frattempo, sforzati di costruire una relazione più stabile con le amanti”. Queste, in soldoni, le minacce contenute nello schema di regolamento in materia di tutela del diritto d’autore, approvato da AGCOM, a braccetto con i produttori di contenuti multimediali, lo scorso 6 luglio.
Il testo parte da una premessa che infonde speranza: operare “nel rispetto dei diritti e delle libertà di espressione del pensiero, di commento, critica e discussione”, escludendo nel contempo dalla regolamentazione gli scambi di contenuti che avvengano direttamente tra gli utenti, come ad esempio le reti peer to peer. Fedele a questa impostazione, l’articolo 6 esclude dalla procedibilità quei contenuti diffusi nei limiti delle eccezioni previste agli articoli 65 e 70 della Legge sul diritto d’autore.
Prima stranezza: all’articolo 65 della Legge sul diritto d’autore internet non viene neppure nominata (neppure come integrazione successiva al 1941). Si dice solo che gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso possono essere diffusi esplicitamente su “riviste o giornali, anche radiotelevisivi”, a patto che la loro riproduzione non sia stata “espressamente riservata”. Dunque, giacché qui si parla di internet, a voler essere pignoli non stiamo escludendo un gran ché dall’ambito di applicazione dello schema di regolamento Agcom. Tra l’altro, a peggiorare la situazione, la maggior parte degli articoli dei giornali recano chiaramente la dicitura “riproduzione riservata”. Di internet si parla solamente all’articolo 70 della Legge sul diritto d’autore, ma solo per consentire l’utilizzo parziale delle opere protette da copyright nell’esclusivo ambito di utilizzo didattico o scientifico, peraltro demandando ad un successivo decreto ministeriale la definizione di cosa si intenda per “uso didattico o scientifico”. Dunque le eccezioni dichiarate all’interno dell’articolo 6 dello schema di regolamento Agcom, a voler ben guardare, rappresentano più che altro una manifestazione di buona volontà che lascia il tempo che trova. All’articolo 10 l’Agcom specifica quali siano i criteri di valutazione dei predetti articoli 65 e 70 ma ribadendone sostanzialmente la stessa terminologia, solo specificando con maggiore enfasi che l’utilizzo del materiale protetto non deve avere finalità commerciali né scopo di lucro. Si attende ancora che qualcuno chiarisca cosa si intenda per scopo di lucro, dato che solitamente i contenuti pubblicati sulla rete internet sono accompagnati dalla presenza di banner pubblicitari che nella maggior parte dei casi non rendono che pochi spiccioli. Qual è il confine che separa il mero rimborso spese dal lucro? In assenza di tale netta demarcazione, siamo tutti a rischio. Con il famigerato Decreto Romani, quantomeno, si è stabilito che le web-tv che fatturano meno di 100mila euro l’anno (pura utopia per il 99,99% dei blogger italiani che si accontenterebbero di guadagnare un trentesimo o un quarantesimo) non sono soggette alle disposizioni normate dal recepimento italiano della direttiva AVMSD. Sarebbe cosa buona e giusta tirare una riga anche in questo caso e stabilire definitivamente cosa si intende per scopo di lucro.
Cosa succede, dunque, nel caso in cui un produttore di contenuti verifichi l’utilizzo illecito di un suo contenuto all’interno, supponiamo, di un video caricato su YouTube? Fa una segnalazione (notice and take down) al fornitore del servizio di media audiovisivo (YouTube), che è un soggetto ben distinto dall’uploader (colui che ha caricato il video). A questo punto YouTube (o il gestore del vostro blog, se stiamo parlando di materiale contenuto in un post, o voi stessi se avete direttamente in gestione la piattaforma) dovrebbe, “ove possibile, darne notizia all’uploader, il quale ha la facoltà di presentare le proprio controdeduzioni” (articolo 6, comma 2). Cosa implica quell’“ove possibile”? Che se non è possibile, il fornitore del servizio di media audiovisivo ha facoltà di provvedere alla rimozione del contenuto senza darne notizia all’uploader. E del resto YouTube come potrebbe notificare a un suo utente che un video del suo profilo è stato oggetto di una notifica di tipo “notice and take down”? Naturalmente per email, ma poiché non sussiste obbligo alcuno all’utilizzo di un servizio di posta certificata nei rapporti tra YouTube e i suoi utenti, ne consegue che la segnalazione è aleatoria e che quell’”ove possibile” significa molto più probabilmente un lugubre “mai”. Tanto più che l’uploader ha solo quattro giorni di tempo per presentare le prove che lo scagionano dall’avere infranto le leggi sul copyright. Cosa è probabile che faccia il fornitore del servizio di media audiovisivo o il gestore del sito che riceve una notifica di violazione copyright per un contenuto caricato da terzi, considerata la scarsa probabilità di avere una risposta in tempi così stretti dall’uploader e, soprattutto, considerata l’entità della sanzione economica in cui incorre se, alla fine del procedimento, non rispetterà l’eventuale richiesta di rimozione finale? Già, perché all’articolo 15, comma 2, si dice chiaramente che la multa comminata a chi non ottempera alle disposizioni dell’Autorità è regolata dall’articolo 1, comma 31, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Parliamo di una cifra che va da 20 milioni delle vecchie lire a 500 milioni, ovvero da circa 10mila a 250mila euro. E’ evidente che la quasi totalità dei contenuti oggetto di notifica verranno rimossi senza attendere le eventuali controdeduzioni dell’uploader. E che ciò sia possibile è confermato dal comma 1 dell’articolo 7, il quale norma la procedura di opposizione alla rimozione selettiva (“rimozione selettiva” ricorda tanto le bombe intelligenti). E’ lì che si dice che l’uploader, ove ritenga che il contenuto sia stato rimosso ingiustificatamente, può presentare le sue controdeduzioni (counter notice). E’ ovvio che se nelle intenzioni dell’Agcom il contenuto non avesse potesse essere rimosso prima che all’uploader fosse concessa la possibilità di difendersi, questo comma non avrebbe avuto senso. Una volta che il coraggioso e piccolo Davide abbia presentato a Golia-YouTube le sue controdeduzioni, quest’ultima avrà quattro giorni per ripristinare il contenuto rimosso, garantendosi così che la procedura verrà portata dal detentore del copyright dinnanzi all’Agcom per l’apertura dell’istruttoria, con il rischio dei famigerati 250mila euro di cui sopra. Pensate che esista un solo fornitore di servizi di media audiovisivi che sia tanto incosciente e scavezzacollo da ripristinare un contenuto oggetto di contestazione, se non sarà la stessa Agcom a disporlo al termine di tutta la procedura? No: non son siete così ingenui, lo so.
E così siamo arrivati al punto in cui il nostro contenuto, dopo una segnalazione di notice and take down, per non saper né leggere né scrivere è stato rimosso da YouTube. Facciamo pure finta che siamo stati così fortunati da essercene accorti entro quattro giorni, nonostante una semplice email abbia ottime probabilità di essere letta e processata in un tempo significativamente maggiore, e abbiamo inviato una bella counter notice, alla quale il nostro fornitore di servizi media audiovisivi ha prevedibilmente risposto facendo spallucce. Non ci resta che rivolgerci all’Agcom per ottenere giustizia e fare ripristinare il nostro contenuto multimediale. A partire dalla scadenza dei quattro giorni, abbiamo dunque sette giorni per investire della questione l’Autorità, la quale entra in una fase di pre-istruttoria, ove sostanzialmente verifica la procedibilità. Tale fase non ha alcun vincolo di durata, e dunque può essere lunga a piacere. Se per caso abbiamo segnalato la nostra counter notice oltre il termine dei quattro giorni, siamo fregati e il nostro contenuto è perduto per sempre. Altrimenti l’Autorità invia agli attori una notifica di apertura dell’istruttoria vera e propria. A questo punto sono passati almeno 4 + 7 = 11 giorni. E’ vero che i 7 giorni dipendono da noi, ma non avendo la fase di pre-istruttoria una durata massima, è più probabile che quegli 11 giorni diventino 20 piuttosto che si riducano a 10.
L’istruttoria, fortunatamente, una durata massima ce l’ha: 35 giorni. La Direzione si prende 20 giorni e poi trasmette le sue decisioni all’organo collegiale (articolo 11, comma 5), L’organo collegiale ha facoltà di allungare il procedimento di ulteriori 15 giorni per richiedere lo svolgimento di nuovi approfondimenti. Dopo un massimo di 35 giorni, dunque l’Agcom assume un provvedimento definitivo e lo trasmette al fornitore di servizi di media audiovisivi o radiofonici (YouTube), il quale deve adeguarsi a quanto disposto. Quanto tempo ha YouTube (o il gestore del sito) per adeguarsi? Non è precisato, dunque aggiungiamo un altro punto di domanda alla nostra agenda dei tempi.
Se dunque un nostro contenuto multimediale dovesse venire illegittimamente segnalato come lesivo dei diritti d’autore di qualcuno che ne faccia segnalazione, con tutta probabilità dovremo subire l’ingiustizia di vedere il nostro contenuto sparire dalla rete per un tempo che può abbondantemente superare i 2 mesi. Questo risulta dalla somma delle varie fasi così come illustrate in precedenza, ovvero 11 + ? + 35 + ? = 46 + ? = 60 giorni di buio ad essere discretamente ottimisti. Stiamo parlando di due mesi, sempre che riusciamo ad accorgercene e ad espletare le procedure burocratiche in tempo, e sempre che l’Autorità ci dica bene e disponga il ripristino del contenuto. Due mesi nei quali potremmo essere costretti a subire l’ingiustizia della rimozione di un contenuto, la quale si traduce in un danno economico, morale e biologico (il fegato che mi faccio nell’essere costretto a subire la prepotenza di una Mediaset qualsiasi che paga eserciti di lavoratori dediti alla segnalazione di contenuti multimediali, resi vulnerabili dall’assenza di una legge chiara sul fair use, che facciano uso anche di pochi secondi di telegiornale).
Perché non si vieta che la rimozione di un contenuto possa avvenire prima di avere ricevuto le controdeduzioni dell’uploader, imponendo strumenti di notifica più efficaci di una semplice email? Altrimenti, sarebbe come se io e il mio vicino di casa litigassimo per il possesso di una bicicletta e io avessi il diritto di requisirgliela prima che lui abbia anche soltanto potuto provare a difendersi. Da cosa deriverebbe questo privilegio che l’industria dei contenuti può vantare nel disporre del mio lavoro e della mia fatica, costringendomi ad un inseguimento affannoso?
E se il sito è registrato all’estero? Peggio che andar di notte, perché se il soggetto è attivo in Italia (e per esempio, chi può sostenere che YouTube non lo sia?), “l’organo collegiale può ordinare al fruitore di servizi di media audiovisivi o radiofonici […] la cessazione della trasmissione o della ritrasmissione di programmi audiovisivi diffusi in violazione delle norme sul diritto d’autore” (articolo 14). Il tutto senza passare dal via, ovvero senza la procedura burocratica così come è stata descritta più sopra.
Insomma, l’Agcom è come quel marito che, nel tornare a casa, ogni sera picchia sua moglie presupponendo che lei abbia qualcosa da nascondere, prima di ricevere qualunque giustificazione (proverbialmente parlando, si intende: in nessun caso è ammissibile che moglie e marito si picchino vicendevolmente). O, se volete, l’Autorità assume su di sé il ruolo dei Precog di Minority Report, che vedevano i crimini prima che venissero commessi e inviavano le forze dell’ordine ad arrestare i colpevoli, per impedire che si macchiassero di un reato.
Ma c’è di più: l’Agcom pretende di creare un canale preferenziale addirittura con le amanti. La prima parte dello schema di regolamento infatti è dedicata allo sviluppo e alla promozione dell’offerta legale. Sostanzialmente, gli articoli 3, 4 e 5 descrivono la costituzione di un tavolo tecnico che, tra gli altri obiettivi, al punto e) del comma 2 dell’articolo 4 prevede la “promozione di accordi tra operatori volti a semplificare la filiera di distribuzione dei contenuti digitali in ordine alle nuove modalità di fruizione favorendo l’accesso ai contenuti premium”. Senonché al tavolo tecnico partecipano, oltre ai rappresentanti dei produttori di contenuti multimediali, anche i fornitori di servizi. Questi ultimi sono definiti dallo schema di regolamento come l’insieme dei fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici e dei prestatori di servizi, intesi come i fornitori di servizi di mere conduit, di caching o di hosting. Insomma, tra i prestatori di servizi, possono trovare una sedia sia i motori di ricerca che gli internet service provider, oltre naturalmente ai fornitori di servizi di hosting (le società che affittano o vendono server e banda grazie ai quali batte il cuore dei siti web). Cosa c’è di male? E’ presto detto: mai sentito parlare di Neutralità della Rete? E’ un principio fondamentale che afferma la neutralità del mezzo di trasmissione, ivi inclusi le infrastrutture di rete e i servizi software che consentono di navigare e trovare i contenuti, rispetto ai contenuti stessi. “All bits are created equals” (tutti i bit sono creati uguali) afferma il teorema più importante alla base della teoria della cosiddetta Net Neutrality. Significa per esempio che internet resterà il più grande spazio di libertà mai conquistato nell’ambito del principio della libertà di parola dalle moderne democrazie, solo fintantoché gli scritti o i video creati dall’ultimo dei cittadini connessi alla rete avranno la stessa identica possibilità di essere trovati e consultati rispetto ai contenuti creati dalla più grande delle multinazionali. Consentire all’industria dei contenuti di avvalersi di canali privilegiati, vuoi per l’avere contrattato posizioni di rilievo nei risultati dei motori di ricerca o all’interno dei widget inclusi nelle internet-tv, vuoi per l’avere a disposizione quantità di banda larga riservate a discapito degli user generated content (i cosiddetti UGC) apre la porta a conseguenze disastrose e irrimediabili nel principio di uguaglianza che attualmente la rete ancora garantisce.
In America le corporation multimediali stanno cercando da lungo tempo di creare abbonamenti diversificati a internet, che in base al prezzo mensile corrisposto consentirebbero agli utenti una navigazione controllata e ristretta ai soli siti web accessibili secondo il pacchetto prescelto. In Turchia 40mila persone sono scese in piazza il 15 maggio scorso per scongiurare la creazione da parte di una commissione governativa equiparabile all’Agcom (la BTK) di una internet suddivisa per fasce (standard, famiglia, bambini…) che dovrebbe entrare in vigore il 22 agosto p.v. L’elenco dei siti web raggiungibili da ogni fascia sarà creato e gestito segretamente dalla BTK ed ogni famiglia sarà costretta a decidere a quale pacchetto aderire. Ovvie le implicazioni a livello di censura che tale evoluzione oscurantista determina quando viene meno il principio della Neutralità della Rete. Pensate a cosa succederebbe in Italia se, a quei trenta milioni di cittadini che ancora non sono connessi alla rete, gli Internet Service Provider offrissero un abbonamento semi-gratuito dove è possibile navigare solo sui siti istituzionali, su quelli dei principali quotidiani nonché delle televisioni nazionali. Resterebbero in pochi, specialmente in tempi di crisi, ad avere la consapevolezza della necessità di dover pagare un prezzo più elevato per avere accesso a tutti i siti web, comprese le fonti di informazione alternative, pur di scongiurare il rischio di replicare il sostanziale monopolio dell’informazione che si è determinato dall’invenzione della televisione in poi.
Lo stesso accadrebbe se i motori di ricerca permettessero di trovare con estrema facilità solo i contenuti che l’Agcom definisce premium, relegando tutti quelli prodotti in piena autonomia da milioni di cittadini qualunque, il cui contributo al pubblico dibattito è però un efficace anticorpo a tutela della conquista democratica, ad un sostanziale anonimato (perché quello che non compare nella prima pagina di Google, è brutto dirlo, per i più non esiste). Lo stesso accadrebbe, parimenti, se gli internet service provider o i gestori dei siti web riservassero il 90% della banda al transito dei contenuti multimediali premium verso le case degli utenti, rendendo estremamente noioso se non quasi impossibile il download di un video prodotto da un cittadino qualunque, ottenendo l’effetto in di incentivare sì, i contenuti premium, dissuadendo però nel contempo i navigatori dalla visione di fonti di informazione alternative. Ecco: il tavolo tecnico che l’Agcom sta predisponendo accoglierà esattamente questi attori al fine di trovare un accordo per favorire i contenuti premium. C’è da dubitare che si preoccuperanno eccessivamente della Neutralità della Rete, a meno che non siamo noi a esercitare sufficienti pressioni per ricordargliene l’importanza.
Io non voglio una internet di contenuti premium, ma casomai una internet di contenuti premiati che si conquistano da sé una maggiore visibilità grazie all’apprezzamento spontaneo e democratico dei cittadini digitali, grazie al passaparola e grazie ai meccanismi di condivisione. Che già ci sono e che funzionano bene.
Il privilegio riservato ai contenuti migliori e le liste dei buoni e dei cattivi (articolo 3, comma 1) lasciamoli ad altri paradigmi di società bocciati dal tempo e dalla storia.
p.s. Qui un video esaustivo sulla lunga, triste storia degli attacchi alla rete nel nostro paese.
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Su internet un italiano su due
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Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "Morte naturale per infarto". Sono questi i primi risultati dell'autopsia per Carmine Gallo, l'ex super poliziotto protagonista della lotta contro la criminalità organizzata a Milano e ai domiciliari dallo scorso ottobre per l'inchiesta Equalize sui presunti dossier illeciti, morto domenica nella sua abitazione a Garbagnate Milanese. Si tratta dei primi riscontri dei medici legali, poi "arriveranno i tossicologici" chiesti in via precauzionale per escludere qualsiasi altra causa.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - "Il libro di Follini rappresenta la foto di un mondo rovesciato rispetto al presente, un’America rovesciata, ieri prevaleva il senso della misura e il ragionamento, oggi prevale il populismo”. Lo ha detto il deputato del Pd Stefano Graziano presentando in conferenza stampa a Montecitorio il libro di Marco Follini 'Beneficio d’inventario'.
"Centrale è la parte che racconta della vita politica all’epoca del padre di Marco Follini, Vittorio, e dei leader politici del tempo da Francesco Cossiga, ad Aldo Moro, passando per Marco Pannella. Non tutti avevano la stessa idea politica ma erano tutti uniti nella forza di voler difendere la democrazia, una democrazia ottenuta con lotte, sangue, catastrofi e quindi seppur lontani politicamente, erano uniti dal dialogo. Una differenza abissale con l’Italia di oggi pericolosamente in mano ai sovranisti, dove tutto è concepito fuorché il dialogo. Forse questo abisso non è solo italiano ma sta prevalendo in tutto l’Occidente e la cosa è abbastanza preoccupante”, ha aggiunto Graziano.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "La manovra repentina, improvvisa e del tutto imprevedibile, frutto certamente di una decisione di decimi di secondo attuata dal conducente del motoveicolo TMax non ha consentito al conducente del veicolo Giulietta di poter attuare alcuna manovra difensiva efficace". E' quanto sostiene la consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano e affidata all'ingegnere Domenico Romaniello. La relazione attribuisce la responsabilità dell'incidente a Fares Bouzidi, già indagato per omicidio stradale, l’amico di Ramy Elgaml che guidava lo scooter. Quando lo scooter da via Ripamonti svolta a sinistra verso via Quaranta, "con una deviazione improvvisa", per il consulente Fares imprime "una correzione di rotta verso destra", in direzione del marciapiede, e il carabiniere alla guida "non poteva certamente prevedere tale pericolosissima manovra e nulla ha potuto fare per evitare tale contatto, in ragione della impossibilità di poter attuare sia una correzione di rotta, sia una frenata efficace nello spazio a disposizione".
Non solo: il militare alla guida "non avrebbe altresì potuto neanche sterzare verso destra per la presenza del pedone (il testimone che riprende la scena con il cellulare) che per il conducente dell’autovettura è stato chiaramente percepito con la vista periferica" spiega l'ingegnere che ha realizzato la consulenza ricostruendo le condizioni di visibilità e velocità dell'inseguimento avvenuto la notte del 24 novembre scorso. Quella che mette in atto il carabiniere ora indagato per omicidio stradale (per lui si va verso la richiesta di archiviazione) è "una manovra difensiva obbligata": se lo scooter guidato da Fares avrebbe mantenuto la traiettoria 'naturale' chi guidava la Giulietta "non avrebbe sostanzialmente avuto problemi a mantenere il proprio veicolo iscritto nella curva da percorrere per la svolta a sinistra".
Quando Fares imposta la curva verso via Quaranta il T Max viaggia a una velocità di quasi 55 chilometri l'ora, quando il motociclo finisce la sua corsa contro il palo semaforico l'urto avviene a circa 33 chilometri orari. Per il consulente incaricato dalla procura la macchina che insegue, per evitare l'urto, "avrebbe dovuto disporre di uno spazio complessivo per l’arresto di circa 24 metri", mentre "il conducente aveva a disposizione circa 12 metri soltanto prima di giungere all’urto contro il palo semaforico".