L’Italia è una Repubblica fondata sulla mediocrità, una “mediocracy”. E’ un sistema di rappresentanza che premia sistematicamente i peggiori, neutralizza le spinte al cambiamento, seleziona e premia i rappresentati in funzione della fedeltà al capo o al partito e trasforma i rappresentati in eterni sconfitti. E’ la legge fondamentale della Casta, un blocco di potere che usa le istituzioni per riprodurre e mantenere se stesso, massimizzando i propri benefici personali e non l’interesse nazionale. Antonio Merlo, direttore del dipartimento di Economia della Pennsylvania University è riuscito a trascrivere questi concetti in una formula matematica complessa che aggiunge al dibattito sulla casta parametri e valori che appartengono al mondo rigoroso e definitivo dei numeri, non a quello variegato e influenzabile delle opinioni.
Perché usare la matematica per studiare la casta?
“In realtà io volevo capire come si formano le carriere dei parlamentari italiani applicando le stesse nozioni che si usano in economia per studiare i comportamenti e le regole dei gruppi di lavoro di qualsiasi settore. E la matematica ci dice che in Italia gli incentivi a intraprendere una carriera politica sono cambiati tra la prima e la seconda Repubblica: oggi portano in parlamento una ceto politico qualitativamente peggiore del passato. Perché nella mediocracy si punta a candidare non chi assicura le migliori performance all’elettore ma all’organizzazione che li ha nominati, in altre parole non conta quanto sei bravo e apprezzato ma quanto sei disposto a tenere in vita il sistema. La matematica può rappresentare e riprodurre questo concetto complesso con il rigore dei numeri, senza il rischio delle deviazioni e delle variabili tipiche del linguaggio discorsivo e della dialettica politica”.
Ma quel’è il meccanismo alla base della mediocrazia?
“A differenza di quanto avviene nelle imprese di mercato l’incentivo è differito nel tempo e nella quantità. In pratica chi lavora per i partiti non viene ricompensato a dovere e nell’immediato per il suo impegno ma con una promessa tacita o esplicita di una carica elettiva o di una poltrona (di cui si è certi) e ben retribuita. Un congruo indennizzo alla fedeltà. Questo incentivo determina una selezione della classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito che vota compatta per sostenerlo. Non a caso abbiamo il record di parlamentari non laureati ma gli stipendi più alti di sempre. Non a caso assistiamo a leggi vergognose per qualunque altro cittadino. L’Italia oggi è la regina indiscussa della mediocrazia che è la legge di equilibrio che tiene insieme il sistema della Seconda Repubblica, quella in cui governano i mediocri”.
Tagli agli stipendi, dimezzamento dei parlamentari. Forse siamo a una svolta…
“Alcune voci della bozza Calderoli sono condivisibili ma è forte il rischio che restino annunci o misure di facciata senza alcuna speranza di incidere sulla realtà. Mi spiego. L’Italia ha un duplice problema. E’ una mediocrazia e quindi ha tutti i difetti della casta al potere, con persone mediocri chiamate a decidere sulle leggi. Proprio per questo sono poche le speranze di un’azione riformatrice davvero efficace. La bozza non tocca il cuore del problema ma lo copre dietro a degli annunci ad effetto”.
Perché non crede agli annunciati tagli?
“Perché non c’è una volontà politica seria di metterli in pratica subito e con rigore come si vuole far pensare sull’onda emotiva dell’antipolitica. Lo dicono le date del provvedimento che si vuole approvare a giorni. Al di là del merito dei singoli tagli, gli interventi sono stati differiti deliberatamente alla prossima legislatura. In quella attuale non cambia nulla. I parlamentari si tengono i loro privilegi e questa scelta indica in realtà la volontà di incentivare il più possibile la durata del governo in carica, senza incidenti d’aula e con il voto compatto anche i fronte a provvedimenti che per qualsiasi cittadino di buon senso sarebbero inaccettabili”.
Cosa bisognerebbe fare per avere una moderna democracy?
“Bisognerebbe che la attuale classe dirigente facesse un passo indietro o i cittadini elettori uno in avanti. Una strada potrebbe essere quella di una costituente che richiami intorno a un tavolo le forze politiche, i giuristi, gli economisti insomma il meglio del Paese per coglierne i segnali e ridisegnare le strutture della democrazia a partire dai meccanismi di selezione della classe politica. Un sistema proporzionale uninominale toglierebbe ai partiti la certezza di governare e rischiando di perdere anche per un solo voto si troverebbero incentivati a candidare le personalità migliori e non degli yesman”.
Ma se questa è la mediocracy all’italiana, Berlusconi chi è?
“Lui è una star. Sulle sue doti non ci sono dubbi. Ma da un punto di vista strettamente analitico manca delle qualità necessarie a un leader per rispondere ai bisogni dei suoi cittadini. Non ha l’onestà, la conoscenza e il rispetto delle istituzioni e della politica. Ha massimizzato gli effetti negativi della mediocracy creando un intero Parlamento di eletti di scarso valore che, in quanto tali, lo seguono e votano a prescindere dall’interesse nazionale e dei loro elettori”.
Che funzione svolgono in una mediocrazia i faccendieri e i corrotti d’Italia?
“I lobbisti ci sono sempre stati. Ci sono anche negli Usa dover però sono sottoposti a regole ferree, hanno perfino un albo e se sgarri vai in galera. In Italia il lobbista è funzionale a ricomporre quella asimmetria non limpida tra i meccanismi e le richieste dell’economia reale e quelli della politica che funziona allo stesso modo ma ha sostituito al compenso in denaro l’assegnazione di cariche elettive e benefici. E’ un sistema premiale di favori che sfugge al controllo, fa lievitare i costi della politica e svolge una funzione di stampella a un sistema vecchio e malato”.
Ma la mediocracy è arrivata al tramonto o può ancora peggiorare?
“Non direi. La democrazia rappresentativa corre un rischio altissimo perché è al centro di due opposte tendenze. Quella del Paese che chiede di cambiare le regole e la qualità della classe politica e la classe politica di governo che segue gli incentivi utili a resistere al cambiamento, a garantire ad ogni costo la durata massima della legislatura. Questo spiega perché il Paese è in crisi ma i parlamentari non rinunciano a guadagnare più di tutti i colleghi europei e americani. Che i giudici vogliano punire corrotti e corruttori ma gli “yesman” della mediocracy si adoperino sistematicamente per propria totale impunità”.
Antonio Merlo è professore di Economia e Direttore del Dipartimento di Economia alla University of Pennsylvania. Ha una laurea in Discipline Economiche e Sociali dall’Universita’ Bocconi e un dottorato in Economia dalla New York University. Il Professor Merlo e’ un esperto di economia pubblica, politica economica e economia della politica. Ha pubblicato numerosi lavori sulle carriere dei politici, la formazione e dissoluzione dei governi, e lo studio del sistema politico come settore dell’economia.