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Vittorio Feltri, i giovani laburisti e la Norvegia

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Qualcuno dovrebbe dire qualcosa a Vittorio Feltri dopo il suo editoriale di oggi sul Giornale sulla “mancata reazione” dei giovani laburisti alla violenza cieca di un uomo armato fino ai denti, anche se non lo ascolterà.

Qualcuno dovrebbe mandargli una cartolina con la frase del primo ministro norvegese dopo il disastro di Utoya: “Al male reagiremo con più democrazia e più umanità.”

Qualcuno dovrebbe ricordare al decano del giornalismo italiano che il suo quotidiano, fondato da Indro Montanelli, aveva scaricato la responsabilità di ciò che è accaduto in Norvegia sui musulmani. E lo aveva fatto proprio nel decennale della scomparsa del maestro di Vittorio Feltri.

Qualcuno dovrebbe suggerire che quando un giornalista sbaglia, dovrebbe avere la decenza di chiedere scusa, oltre che il dovere di tacere sul tema da quel momento in poi. O di ritornarci solo dopo aver attentamente studiato il caso. Ma il giornalismo italiano ha questo brutto difetto: una notizia, pur falsa, merita un titolo a nove colonne. La rettifica, talvolta, non gode neanche della dignità della semplice pubblicazione.

Qualcuno dovrebbe suggerire a Feltri di intervistare qualche ragazzo scampato alla strage, qualche genitore che ha perso il figlio per la sola colpa di essere appassionato di politica, prima di lanciarsi in analisi antropologiche.

Qualcuno dovrebbe ricordare a Feltri che la polizia norvegese non è armata e che in quella comunità non c’è tutta questa voglia da parte di menar le mani o di scaricare la responsabilità dei fallimenti dell’economia interna su presunte minacce provenienti dai flussi migratori o dall’incontro tra culture e religioni, così come fa, da tempo, la classe dirigente al Governo e i loro megafoni mediatici.

Qualcuno dovrebbe far fare uno sforzo di immaginazione a Feltri: cosa farebbe lui se si trovasse di fronte un uomo che gli assomiglia, magari vestito da poliziotto, che spara all’impazzata? Tenterebbe di picchiarlo? Chiederebbe alle persone accanto a lui di aggredirlo? O piuttosto si farebbe prendere dal naturale istinto (istinto, da vocabolario, vuol dire: “Comportamenti automatici, non frutto di apprendimento né di scelta personale”) di scappare, di sopravvivere?

E per chiudere, qualcuno dovrebbe chiedere a Feltri se si sarebbe attardato in analisi simili se il campeggio fosse stato animato da giovani conservatori, e a sparare fosse stato un estremista di sinistra.

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