Quando si dice che il denaro della ‘ndrangheta viene reinvestito – e ripulito – in terra emiliana, se ne vedono gli effetti più che l’origine. Gli effetti sono agenzie immobiliari, come quella di San Lazzaro di Savena sequestrata lo scorso 7 aprile nell’ambito dell’operazione “Golden Jail”. O come il King Hotel di Granarolo dell’Emilia, 8 mila metri quadrati per 56 camere e una suite a pochi minuti dalla Fiera di Bologna. O – ancora – dell’immobile da 720 mila euro e di un terreno in corso di edificazione di Bentivoglio.
Ma, appunto, quali sono le attività criminose che portano ai reimpiego del denaro lontano dalle terre calabresi? Per rispondere, ci sono due cognomi da tenere a mente: Ventrici e Barbieri. Ventrici, che di nome fa Francesco e che di anni ne ha 39, nasce a San Calogero (provincia di Vivo Valentia) ma vive a Ozzano Dell’Emilia. Secondo gli investigatori sarebbe in diretto collegamento con il clan Mancuso attraverso un suo sodale, quel Vincenzo Barbieri residente nel bolognese di cui già più volte si è parlato e ammazzato lo scorso marzo propria nella città natale di Ventrici.
Ma la storia del denaro va ricostruita andando a ritroso di diversi anni e arrivando all’inizio dello scorso decennio, quando cominciano a prendere quota gli affari, quelli grossi, del narcotraffico che approderanno negli investimenti al nord. Ventrici – passato alle cronache per aver detto “la guerra con noi non la vince nemmeno il papa, noi siamo e con noi dovete avere a che fare” – è sempre stato in “società” con Barbieri per movimentare quantitativi di cocaina crescenti e arrivando da carichi da una tonnellata a botta.
Ma andiamo con ordine e proviamo a raccontarla, questa storia di mafia che diventa “pulita” e che Elio Veltri, già esponente della commissione antimafia e attuale leader di “Democrazia e legalità”, ha ricostruito in anticipo rispetto alla presa di consapevolezza in Emilia Romagna. L’escalation prende il via nel 2000, con il passaggio – uno dei tanti – di Barbieri dal carcere ai domiciliari con il permesso di lavoro all’esterno, il mattino. In quel periodo, si fa assumere da una ditta calabrese, la Lavormarmi di Bruno Fuduli, un imprenditore di Nicotera, ancora provincia di Vibo, che ci aveva provato a opporsi al clan e a denunciare i suoi presunti estorsori. Senza risultato, o quasi.
Tanto che gli uomini del clan non smettono di stargli addosso stringendo il cappio dell’usura a cui è sottoposto. Ogni volta che può, se ne tiene fuori, ma l’assunzione di Barbieri non riesce a rifiutarla e quando il gioco comincia a puzzare, cede le quote ed esce di scena. La sua Lavormarmi, infatti, fa gola però perché ha rapporti commerciali con l’America Latina e per la precisione con la Colombia, da cui importa una pietra simile al marmo, la “mugneca”.
Il piano è quello di scavare i blocchi di pietra, riempirli di cilindri di coca da una ventina di centimetri e sperare, magari con qualche incentivo, che alla dogana di Gioia Tauro i controlli non siano così accurati. I trasporti, che salpano da Bogotà, vengono effettuati da una società danese e, andato a buon fine il primo, diventeranno via via più frequenti. Dagli iniziali 200 chilogrammi pagati intorno ai 25 mila dollari al chilo, si passa poi a 300, a 434, a 870 fino alla tonnellata.
I prezzi “all’ingrosso”, per la legge delle economie di scala, si riducono e aumentano i profitti, a cui partecipano anche referenti dei Mancuso in altri continenti, tra cui l’Australia. Ma non sempre i rapporti cliente-fornitore sono semplici. Se all’inizio, a garanzia dei pagamenti, viene lasciato un ostaggio in attesa dei quattrini, i problemi si infittiscono quando la fiducia dei cartelli colombiani verso i calabresi sembra assodata.
Tanto che – racconta sempre Veltri – il recupero crediti viene affidato ad “agenti” reclutati nelle fila dei terroristi dell’Eta. Come ricostruito anche in sede di commissione antimafia, dalla Colombia sono partiti carichi di denaro da qualche milioni di dollari a volta per sostenere le attività dei baschi. In cambio, talvolta, viene chiesto di passare alle minacce, esercitate anche nei confronti degli uomini di Mancuso troppo distratti nel rispetto dei tempi di pagamento.
Fin dal 2004, dai tempi dell’operazione “Decollo” e ancor prima della “Casa bianca” (ma successivamente confermato anche con la “Decollo bis”, la “Decollo ter” e la “Golden Jail”, un percorso investigativo che in sostanza abbraccia il periodo 2001-2011), Ventrici e Barbieri, dall’Emilia, vengono riconosciuti come “organizzatori dalla pari” dei traffici: protagonisti, dunque, dello stesso calibro dei sudamericani, degli australiani e degli jonico-reggini con cui spesso hanno collaborato.
E altrettanto protagonisti quando si è trattato di gestire il denaro proveniente da quei traffici nella città di Bologna e in provincia, puntando direttamente a quella colonizzazione del mercato immobiliare e delle attività commerciali e alberghiere che l’operazione Golden Jail ha messo a nudo. Ma anche, non solo in Emilia Romagna, per il controllo degli autotrasporti e della grande distribuzione, come accaduto a inizio primavera con la Lidl Italia, presso la quale – hanno tra l’altro rilevato i magistrati della direzione distrettuale antimafia del capoluogo emiliano – i boss si erano imposti come monopolisti delle consegne della merce.
(a.b.)