I governi tirannici intravvedono in ogni atto umano un potenziale rivoluzionario. È successo che in Cina sia stata vietata la parola ‘gelsomino’ (che pure è il fiore nazionale) altrimenti evocativa delle rivolte nordafricane. Succede che in Bielorussia sia dal luglio scorso vietato applaudire, tranne che ai veterani di guerra. Così, anche i superbi discorsi di Lukashenko (faro della democrazia secondo il nostro primo ministro) terminano nel silenzio assoluto, pena l’arresto, se recidivi.
Come mai si è arrivati a cotanto rigore?
I bielorussi vivono male, si sa. Sono esasperati da questo ‘faro di democrazia’ che – come ogni tiranno – non ha alcuna intenzione di lasciare il potere (è in carica dal 1994). L’esempio di Egitto e Tunisia è stato contagioso e così i ragazzi bielorussi – grazie anche ai social media – avevano cominciato a riunirsi per strada (modalità flash mob) e per esprimere civilmente il loro scontento avevano pensato di mettersi semplicemente ad applaudire, ovvero a battere i piedi per terra.
Man mano che questi flash mob si sono ripetuti, il governo ha messo in atto ritorsioni: infiltrati, cariche e arresti a centinaia. Poi è arrivata la legge che ha vietato gli applausi.
A metà luglio, i ragazzi hanno pensato di far squillare contemporaneamente le suonerie dei cellulari, ma anche questa è sovversione per Lukashenko.
Su The Atlantic (dove ho letto ciò di cui scrivo), si aggiunge che forse la situazione in Bielorussia potrà cambiare solo quando anche gli operai scenderanno in piazza, perché per ora ad applaudire sono solo ragazzi e attivisti.
Allora, ricapitoliamo: regime, rivoluzione e operai. Accidenti, le parole d’ordine di un tempo. Quindi, una vera rivolta sociale (nel mondo occidentale) si fa con coloro che sono la spina dorsale di un Paese: operai e lavoratori in genere. Non bastano i giovani, non bastano i social media, fattori che pure ritroviamo nelle rivolte inglesi di questi giorni. Queste ultime – pare – hanno molto a che fare con il teppismo e l’ignoranza (alimentati dal disagio economico e dal narcisismo consumistico), quali derive del capitalismo moderno. Va da sé che saranno più imitati i teppisti inglesi che non i giovani bielorussi. Ma tant’è.
Molti si sono prodotti in commenti e riflessioni sugli eventi inglesi. Bauman (sul Corsera) afferma – nel caso di specie — che è il non essere nel (super)mercato che crea rabbia, più che essere affamati. A tal proposito, ricorda che Bush consigliava di andare a fare shopping agli americani terrorizzati dopo l’undici settembre. Anche il nostro primo ministro ci istiga continuamente a fare acquisti, perché tira su il morale e l’economia. Poi, magari, abusiamo del credito al consumo e inneschiamo una spirale economica viziosa. Vabbè, torniamo in Bielorussia.
Anche io applaudirei, come i Bielorussi, ai capolavori (pratici e fàtici, come l’ultimo di Brunetta) dei nostri politici. Un bel flash mob e via con un’allegra e ironica standing ovation, senza bandiere né slogan. Magari davanti alle fabbriche che chiudono, agli stabilimenti del gruppo Fiat in delocalizzazione, svendita o agonia (l’ultimo ex Iveco a Flumeri, in Irpinia dove vivo), davanti ai pronto-soccorso degli ospedali, alle scuole senza risorse, ai tribunali senza carta per fotocopiare, ai call center, agli enti di ricerca … Applaudire, applaudire festosamente. Tanto non abbiamo più nulla da perdere. Pure Gianni Letta se lo è lasciato scappare, che tutto è andato ramengo.
La rivolta sociale, quella no, quella non possiamo farla: non abbiamo quasi più operai, stanno decimando gli insegnanti e demonizzando i lavoratori pubblici. Preventivamente.
di Marika Borrelli