Diversi commenti al mio post del 18 agosto affermavano che in Italia di grandi opere non se ne vedono poi molte. Se è un rammarico, come penso, lo ritengo sciocco, per le ragioni che ho già spiegato.
Peraltro c’è effettivamente una grande opera che non vede la fine (oltre alla leggendaria autostrada Salerno-Reggio Calabria). Essa è nata nel lontano, mitico 1968 e non si è appunto ancora conclusa. E sarebbe meglio non si concludesse, come dirò in seguito. E’ l’Autostrada Tirrenica, da Livorno a Civitavecchia.
Dicevo, nata nel 1968, con la costituzione di una società che avrebbe dovuto realizzarla (la Sat – Società Autostrada Tirrenica), l’opera rimase nei cassetti fino al 1982 (governo Craxi), anno in cui fu rispolverata.
Nel 1993 fu realizzata la tratta Livorno-Rosignano, ma non di autostrada trattavasi, bensì di una nuova superstrada a quattro corsie, realizzata appunto dalla Sat. Restava da coprire il residuo tratto Rosignano-Civitavecchia.
Per questo tratto, subito fu presentato un progetto che potremmo tranquillamente definire demenziale, che prevedeva un tracciato interno, che se ne andava a spasso senza alcun senso per le colline della Maremma, creando un elevatissimo impatto ambientale. Talmente alto che il progetto fu bocciato dalla Commissione Via di allora (ministro per l’Ambiente Giorgio Ruffolo). Era il 1990.
Passarono più di dieci anni e nel 2001 l’Anas – in un soprassalto di saggezza – presentò un progetto che semplicemente prevedeva, al posto dell’autostrada, l’ammodernamento dell’Aurelia, portandola a quattro corsie ed eliminando tutti i punti pericolosi esistenti. Ipotesi evidentemente troppo semplice e troppo poco costosa: in Italia le opere pubbliche devono costare molto per essere approvate. E infatti fu così che nel 2004 l’Anas mise in un cassetto saggezza e progetto.
Ed ecco, come l’araba fenice, con a capo del governo Berlusconi e Lunardi ministro alle Infrastrutture, ricomparire il vecchio tracciato demenziale fra le colline maremmane. Scontato coro di proteste ampiamente giustificate e anche questo progetto viene accantonato, per lasciare posto a quello attuale: un’autostrada che si sovrappone alla vecchia Aurelia, nel senso che a nord di Grosseto essa si sovrappone alla variante Aurelia (superstrada a quattro corsie), a sud di Grosseto si sovrappone proprio all’attuale strada statale.
A questo punto, gli ambientalisti, gli intellettuali, gli studiosi e i sindaci dei comuni di Capalbio, Manciano, Montalto di Castro e Cellere, recuperano uno studio scientifico del 2003 firmato dal prof. Marco Ponti dell’Università Cattolica di Milano (lo stesso che ha dimostrato l’insensatezza della Tav) e dal prof. Andrea Boitani del Politecnico di Milano. Lo studio dimostra che i costi di un ammodernamento dell’Aurelia sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli di un’autostrada costruita ex novo e che la scelta autostradale è irrazionale sotto vari punti di vista (consumo di territorio, impatto, riassetto della viabilità, costi maggiori per la comunità).
Nulla da fare: irrazionalità e opere pubbliche vanno a braccetto, così come destra e sinistra (in questo caso, Governo Berlusconi e Presidenza Regione Toscana). L’ultimo tracciato è stato inserito fra le priorità del Cipe e i lavori dovrebbero iniziare a breve.
L’autostrada sarà realizzata dalla sempiterna Sat, come già previsto nel 1968, la quale così si troverà il percorso già in gran parte realizzato, lo acquisirà in concessione e farà pagare il pedaggio. Risultato: i cittadini che fino ad oggi percorrevano strade statali, si troveranno a percorrere un’autostrada a pagamento.
Presidente della Sat è Antonio Bargone (avvocato Pd, buon amico di D’Alema), un tempo sottosegretario ai Lavori pubblici, e poi consulente della Regione Toscana in materia di opere pubbliche, e, pensate un po’, dal 2010 anche Commissario straordinario del governo per la costruzione dell’autostrada tirrenica, col modesto stipendio di 214mila euro lordi all’anno. Nominato da chi? Da Altero Matteoli (Pdl, già sindaco di Orbetello e, tra l’altro, noto per essere stato il primo cacciatore a ricoprire la carica di ministro dell’Ambiente).
Aspetto per lo meno curioso: nel 1998 – governo D’Alema e Bargone sottosegretario ai Lavori Pubblici con delega alle autostrade – la Sat (che allora navigava in pessime acque) ricevette 172 miliardi e 500 milioni grazie ad un aumento di partecipazione pubblica nel suo azionariato.
Foto di Donatella Nardi