Un durissimo atto d’accusa contro il capo della Procura di Bari Antonio Laudati, che avrebbe fatto di tutto per inrtralciare l’inchiesta su Gianpaolo Tarantini e il suo giro di escort “fornite” al presidente del consiglio Silvio Berlusconi, a cominciare da Patrizia D’Addario. Lo ha scritto il pm titolare dell’indagine, Giuseppe Scelsi, in una esposto al Consiglio superiore della magistratura. Una lettera di cinque pagine, anticipata oggi da Liana Milella su Repubblica, che descrive un vero e proprio boicottaggio dall’alto dell’attività investigativa.
Dall’alto, perché lo stesso Laudati, scrive Scelsi, “in una riunione informale con la Guardia di finanza si è presentato come ‘l’inviato del ministro della Giustizia’ e ha costituito un ‘organismo’ di controllo delle indagini». Il ministro è Angelino Alfano, oggi segretario del Pdl, il cui nome ricorre nella denuncia del magistrato. Che riporta anche una frase di Antonio Cecere Quintavalle, comandante del Nucleo di polizia tributaria di Bari, incaricato degli accertamenti, che su quell’indagine avrebbe detto a Scelsi e alla collega Eugenia Puntassuglia: “Ma non si era detto che bisognava lasciarla un po’ da parte?».
La lettera è datata 6 luglio di quest’anno, è stata inviata al Csm e alla Procura di Lecce ma, osserva Repubblica, in questi due mesi è rimasta “lettera morta”. Eppure i passaggi da approfondire urgentemente sarebbero tanti. Prima di trasferirsi all’attuale incarico di sostituto procuratore generale sempre a Bari, Scelsi avrebbe voluto chiudere il caso Tarantini-Berlusconi, ma Laudati si sarebbe messo per traverso. Il decreto di trasferimento “firmato il 2 maggio, è stato pubblicato, senza data, nel bollettino del 31 maggio, dove trovano posto i decreti di fine marzo e inizio aprile”. Continua Scelsi: “Resta da verificare se in osservanza piuttosto che in violazione di un ordine di pubblicazione”.
Dettagli tecnici che secondo il magistrato nescondono un gioco di squadra in favore di Berlusconi. Alfano avrebbe accelerato il passaggio di Scelsi alla procura generale, mentre Laudati faceva in modo che non gli arrivassero le ultime carte dell’inchiesta. “Avevo sollecitato il deposito delle informative finali da parte della Guardia di finanza”, scrive ancora Scelsi. “Primo sollecito il 6 giugno”, ma dopo le rassicurazioni dei militari, “il 17 giugno l’informativa non era ancora pervenuta al mio ufficio. Sollecitavo il deposito senza alcun ulteriore indugio, non senza rappresentare che si era resa necessaria per tre volte la proroga del termine delle indagini preliminari”. L’informativa è il documento cardine dell’inchiesta, quella che contiene tutti i risultati investigativi, che poi i magistrati utilizzano per i loro provvedimenti.
Le cose vanno in modo diverso. Il 21 giugno, Laudati “provvedeva a dare ordine alla Guardia di finanza di voler procedere al deposito presso il suo ufficio”. Il 23 giugno la Finanza “deposita l’informativa nell’ufficio di Laudati”. Il documento resta lì e a Scelsi non arriverà mai. Il 30 il pm cambia ufficio. Sei giorni dopo mette nero su bianco tutta la vicenda nella lettera-denuncia.
All’articolo di Repubblica risponde il vicepresidente del Csm Michele Vietti: ”Il Csm e in particolare la Prima commissione non ha nulla da rimproverarsi perché ha fatto diligentemente il proprio dovere”, ha precisato all’apertura del primo plenum dopo la pausa estiva. L’esposto è arrivato al Consiglio a luglio, mentre si rinnovava la composizione di tutte le Commissioni compresa la Prima, che proprio ieri ha deciso di approfondire la questione, convocando Scelsi e Laudati.