Adesso è ufficiale. La salvezza dell’Italia non passerà più dalla Bce bensì, a quanto si apprende, dai grandi investitori stranieri. In prima fila, ha rivelato ieri il Financial Times, c’è la ricchissima Cina, già maxi creditrice degli Stati Uniti (possiede treasuries per 1.000 miliardi) e ora, si scopre, anche detentrice di qualcosa come il 4% del debito pubblico italiano (circa 76 miliardi di dollari, e la cifra potrebbe crescere in futuro). Ma i cinesi, inizia a ipotizzare qualcuno, potrebbero non essere gli unici salvatori della Patria dal momento che, sullo sfondo, comincia a profilarsi un nuovo e insospettabile soccorritore: il Fondo monetario internazionale, che dopo un nuovo accumulo di riserve potrebbe ora fornire il suo sostegno proprio all’Italia. Se l’ipotesi fosse confermata, si tratterebbe del primo caso in assoluto per un Paese del G8. Roba da fantascienza, verrebbe da dire. Ma ormai, si sa, non ci si stupisce più di nulla.

Ma andiamo con ordine. Secondo il Financial Times, i contatti decisivi si sarebbero concretizzati a Roma la scorsa settimana in occasione della visita non ufficiale di una delegazione cinese guidata niente meno che da Lou Jiwei, il presidente della China Investment Corp., il fondo sovrano di Pechino. Jiwei, affermano fonti ufficiali del governo, avrebbe discusso direttamente con il ministro delle finanze Giulio Tremonti e alcuni rappresentanti della Cassa Depositi e Prestiti, l’ente controllato dallo stesso ministero. Al centro dei negoziati, si dice, ci sarebbe l’ipotesi di un aumento dell’esposizione cinese sul debito italiano, ovvero l’impegno di Pechino ad acquistare in futuro obbligazioni sovrane del Tesoro, quelle, per intenderci, che la Bce non sarebbe più disposta a comprare. E siccome i cinesi hanno legittimamente intenzione di fare affari e l’Italia ha l’assoluta necessità di fare cassa, ecco che a finire sulla lista della spesa potrebbero essere i due colossi dell’energia Eni ed Enel, di cui lo Stato, attraverso il ministero dell’economia e la stessa Cassa depositi e prestiti è tuttora l’azionista di maggioranza relativa. Difficile, per il momento, ipotizzare l’eventuale quota di ingresso del fondo sovrano di Pechino nel capitale delle due multinazionali.

Fin qui il capitolo cinese, ma come detto c’è dell’altro. Il Fondo monetario internazionale, riferisce il Wall Street Journal citando fonti anonime vicine alla questione, starebbe per sbloccare risorse pari a 580 miliardi di dollari per coprire le perdite derivanti dalla crisi dei debiti europei. Una crisi che si sta aggravando di giorno in giorno. Nello spazio di 24 ore, segnalano gli analisti di Cma, il valore dei Credit default swaps sulla Grecia è cresciuto di 2.500 punti percentuali. Cosa significa? Semplicemente che se per assicurare 10 milioni di credito con Atene ne erano necessari ieri 4,8, oggi ne servono 7,3. La Grecia, fatti conti, ha una probabilità di default a cinque anni pari al 97,6%. I timori di un effetto domino non mancano tant’è vero che qualcuno ha iniziato a puntare il dito contro Italia e Spagna, due Paesi che al momento sono ancora lontani dal default ma che, al tempo, stesso sono alla disperata ricerca di finanziamenti. Ed ecco, dunque, spuntare l’ipotesi di un clamoroso intervento del Fmi. Oggi il Sole 24 ore avanza apertamente l’ipotesi parlando di una sorta di prestito ponte in grado di rassicurare i mercati evitando che i tassi di interesse sulle nuove emissioni di Roma vadano letteralmente in orbita.

Certo si tratterebbe di un evento epocale. L’idea che il fondo possa intervenire a sostegno di un Paese del G8 resta pazzesca. Ma forse, al tempo stesso, meno folle di quanto si potrebbe credere. Il nodo, come sottolinea ancora il Sole, resta sempre quello relativo ai margini di manovra di Mario Draghi, l’uomo che si appresta ad assumere la guida di una Bce ormai in conflitto aperto con i famosi “falchi della Bundesbank”. I tedeschi, si sa, non avrebbero mai voluto un italiano alla guida della banca centrale ma dopo il nulla osta di Sarkozy si sono trovati talmente isolati da essere costretti a cedere. Per mantenere il sostegno di Berlino, l’ormai ex governatore di Bankitalia dovrà garantire un atteggiamento particolarmente severo proprio nei confronti del suo Paese opponendosi di fatto al proseguimento della politica degli acquisti dei Btp da parte dell’istituto centrale europeo. Insomma, quella nomina che qualcuno aveva individuato come un grande punto di forza negoziale dell’Italia, si starebbe rivelando per Roma un autentico boomerang. Da qui la necessità di fare a meno della Bce. Da qui l’obbligo di rivolgersi ad altri sostenitori per tenere sotto controllo un debito sempre più esplosivo.

Per il momento, intanto, i mercati non sembrano reagire particolarmente bene. Oggi l’Italia ha collocato sul mercato Btp quinquennali per 3,865 miliardi ad un tasso di interesse del 5,6%, nuovo record dall’introduzione dell’euro. Significativo, dunque, l’aumento del premio accordato (+0,67 punti percentuali rispetto all’asta precedente) che identifica una maggiore percezione di rischio attorno alla solvibilità dei bond italiani. Tutt’altro che entusiastica la risposta degli acquirenti con il Bid-to-cover, il rapporto tra domanda e offerta, attestatosi a quota 1,28 contro l’1,93 dell’altra volta. Come a dire che in molti sperano ancora di poter comprare a prezzi più convenienti (ovvero ad interessi più alti) in seguito. Lo spread Btp/Bund sui titoli a scadenza 2016, ha riferito intanto la Reuters, avrebbe toccato oggi nel suo momento più critico quota 461 punti base contro i circa 400 sui quali oscilla oggi il decennale.

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