Nonostante l’importanza e la delicatezza dei temi in agenda (Israele, Palestina, Libia), il primo ministro greco Georgios Papandreou diserterà in questi giorni le riunioni dell’assemblea generale delle Nazioni Unite per il più banale e giustificabile dei motivi: non ha materialmente tempo di esserci. In altre faccende affaccendati, come si dice in questi casi, il premier e la Grecia si preparano infatti ad affrontare i sette giorni più lunghi della loro storia recente. Quelli, per intenderci, al termine dei quali il Paese potrebbe anche scoprirsi ufficialmente in bancarotta. Un esito fortemente temuto ma non per questo, forse, così tragico come sembrerebbe. Almeno a sentire chi di crisi e collassi se ne intende come pochi altri.
“La Grecia è inchiodata in un circolo vizioso di insolvenza, scarsa competitività e sempre più profonda depressione – scrive oggi in un editoriale pubblicato sul Financial Times Nouriel Roubini, il più ricercato guru della crisi finanziaria da lui stesso predetta in tempi non sospetti – acuito da misure draconiane di austerità fiscale, il suo rapporto debito/Pil punta verso quota 200%. La via d’uscita è l’avvio di una procedura di default e il volontario abbandono dell’eurozona con il ritorno alla dracma”.
La considerazione di fondo è evidente: l’erogazione dei fondi di salvataggio è stata condizionata a un giro di vite della spesa pubblica cha ha saputo produrre solo recessione. Gli speculatori hanno preso di mira i titoli di Stato di Atene e i cosiddetti “investitori lunghi”, di natura più prudenti, si sono regolati di conseguenza. Il risultato è stato un’esplosione dei tassi di interesse che ha vanificato ogni sforzo di rientro. Il deficit, insomma, è riuscito a divorare i risparmi di spesa statale attivando il circolo vizioso di cui sopra. Una situazione chiaramente insostenibile.
Il default e l’addio all’unione monetaria rappresentano il grande spauracchio non solo di Atene ma dell’intera Europa. Eppure, a ben vedere, non sembrerebbero esserci altre soluzioni. La Grecia non può fare affidamento su un indebolimento dell’euro che rilanci la sue esportazioni: certo, i tassi europei sono ancora relativamente alti, ma un loro abbassamento avrebbe in definitiva effetti limitati a fronte delle politiche espansive (che implicano un basso costo del denaro) già in atto negli Usa e in Gran Bretagna (per non parlare del Giappone, ma lì si tratta di un aspetto endemico). Insomma, un cambio di rotta in tal senso da parte della Bce potrebbe rilanciare la corsa della locomotiva tedesca, ma sarebbe del tutto inutile per la disastrata motrice greca.
Nulla da fare, spiega Roubini, anche sul fronte degli interventi interni a cominciare, in primis, da quella serie di riforme strutturali che mirassero a rilanciare la redditività del lavoro, in modo che la produttività aumenti più dei salari, o che, in alternativa, puntassero direttamente sulla riduzione degli stipendi (anche solo non adeguandoli all’inflazione). In questo modo, spiega, si alimenterebbe soltanto il circolo della depressione economica generale almeno per un quinquennio. Un tempo che la Grecia non ha più. Insomma, l’unica via d’uscita si chiama dracma, una scelta estrema, certo, ma anche giustificata da qualche confortante precedente storico come quello evocato dalla celebre ripresa argentina sulla quale, più di ogni altra cosa, pesò la svalutazione della moneta nazionale (che in precedenza era stata sciaguratamente agganciata al dollaro Usa con uno sconcertante rapporto di 1 a 1).
“Certo – scrive Roubini – questo processo sarà traumatico” e il problema principale sarà costituito dalle perdite patite dalla maggiori istituzioni finanziarie europee. Al tempo stesso, tuttavia, queste perdite “potranno essere gestite con opportune e aggressive politiche di ricapitalizzazione”. In fondo, aggiunge ancora il docente della NY University, “l’esperienza recente dell’Islanda, così come quelle di molti altri mercati emergenti negli ultimi venti anni, evidenzia come una ristrutturazione ordinata e una riduzione del debito estero possano ripristinare la sostenibilità, la competitività e la crescita. In questo senso, il danno collaterale patito dalla Grecia potrà essere significativo ma contenuto”.
In attesa di dare retta al guru, intanto, il ministro delle finanze greco Evangelos Venizelos si riunirà oggi in teleconferenza con i rappresentanti dei creditori del suo Paese per illustrare loro i nuovi piani di taglio alla spesa. Tra le ipotesi, una riduzione del numero dei dipendenti pubblici e una nuova sforbiciata ai salari. In bocca al lupo.