Nella pratica clinica il medico spesso utilizza farmaci off-label che sono farmaci utilizzati al di fuori delle indicazioni, delle vie o modalità di somministrazione o dalle utilizzazioni autorizzate dal Ministero della Salute.
Per fare un esempio possiamo pensare a un’infezione del canale uditivo, otite, che spesso viene debellata da colliri antibiotici che normalmente vengono utilizzati per infezioni dell’occhio quali la congiuntivite. Ora, utilizzare un collirio nell’orecchio, è una via di somministrazione al di fuori delle indicazioni della letteratura del farmaco, il foglietto allegato al farmaco, e delle autorizzazioni per il quale è stato immesso nel mercato.
La responsabilità della somministrazione è totalmente a carico del medico con problematiche non ancora completamente esplorate dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
In oculistica, negli ultimi anni, sono stati immessi numerosi farmaci da utilizzare nelle malattie della retina quali la degenerazione maculare senile, la retinopatia diabetica e le malattie vascolari, patologie altamente invalidanti da un punto di vista visivo con ricadute sociali evidenti.
Esistono due farmaci essenzialmente utilizzati per via intravitreale (iniezione direttamente nell’occhio a livello della camera vitrea) che hanno dato buoni risultati e che solo il costante utilizzo può portaci a confermare l’efficacia nel tempo.
Uno è il Lucentis, ranibizumab distribuito da Novartis, che ha indicazioni oculistiche autorizzate dal Ministero. Il secondo è l’Avastin, bevacizumab distribuito da Roche, ancora oggi off-label per l’occhio nel sito dell’Aifa, agenzia italiana del farmaco.
Il 28 aprile 2011 sono stati pubblicati i dati di uno studio di comparazione fra i due farmaci eseguito dal National Eye Institute del National Institute for Health degli Usa che ha arruolato 1.200 pazienti. Tale studio dice sostanzialmente che le eventuali complicanze e i benefici clinici sono sostanzialmente sovrapponibili.
Quindi i due farmaci da un punto di vista di salute clinica sono equivalenti. Questo è anche sostenuto da molto tempo dalla S.O.I., Società Oftalmologica Italiana, che riunisce circa 7000 oculisti italiani.
I due farmaci hanno però un costo enormemente differente. Il Lucentis, circa 1700 Euro a fiala, mentre l’Avastin circa 25 Euro a fiala. Ma la cosa più eclatante è che con il costo del trattamento per un anno con Lucentis di un solo occhio, si possono trattare con pari rischi ed efficacia sessanta occhi con Avastin. Peraltro, essendo l’Avastin ancora off-label, non può essere utilizzato con il Sistema Sanitario Nazionale per le patologie della retina.
Anche nella vicina svizzera, dove la Novartis ha sede, ci sono studi che porterebbero ad un risparmio di 55 milioni di franchi svizzeri (!) all’anno nel caso di utilizzo esclusivo di Avastin, come suggerito da Berna agli oculisti d’oltralpe.
Quale può essere l’interesse, o meglio il disinteresse, da parte del Ministro della Salute, da parte del Consiglio Superiore della Sanità, da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco, da parte della Commissione Unica del Farmaco affinché si possa, con urgenza, modificare le indicazioni cliniche dell’Avastin allargandole alla clinica oculistica sulla base di uno studio in larga scala e multicentrico?
Come si può chiedere, come oggi avviene per un farmaco essenziale quale la benzilpenicillina, un contributo del paziente, passato da 2 a 24 Euro, e nessuno pensa alla differenza di costo per due farmaci uguali?
Qual è la ricaduta sociale di una spesa notevole per una patologia in continuo aumento e direttamente dipendente dall’aumento della vita media?
Qual è la spesa sociale pubblica, visto che il Lucentis, essendo on-label, è distribuito in strutture pubbliche o accreditate e i medici sono restii ad usare Avastin essendo off-label?
Certo il Lucentis è poca cosa nell’oceano delle spese incontrollate della Sanità ma, al pari delle spese da contenere da chi ci governa, può essere l’inizio di una nuova via da percorrere. La ridistribuzione delle risorse può portare ad utilizzare le risorse stesse dove più servono, cercando di chiedere al cittadino-paziente i contributi necessari per l’equilibrio dei conti senza sprecarli per problematiche burocratiche.
Questa è salute economica, a pari salute clinica.