“Pronto, cercavo Michele Santoro”. “Un attimo”. Silenzio. “Scusi, ma ci hanno installato il telefono due ore fa”: la redazione è in costruzione. In attesa della prima puntata, il 3 novembre alle 21, s’inaugura il sito Internet di “Servizio pubblico”, l’associazione attraverso cui sarà possibile, da oggi, versare dieci euro per sostenere il programma. Prodotto da una società di cui, insieme ad altri, è socio anche Il Fatto Quotidiano (leggi). “Ho registrato un messaggio per il sito”, spiega Santoro, “con cui chiedo al pubblico di affiancarci in questa impresa, davvero storica: è la prima volta che si cerca di far vivere un programma scomodo, che non ha alle spalle né padroni né partiti”.

Aspettative?
Se avessimo cominciato la raccolta subito dopo l’annuncio alla Festa del Fatto a Pietrasanta, sarebbe partita in maniera entusiastica. Ora faremo un po’ più fatica, ma il pubblico non ci ha mai lasciati soli in questi anni: non credo succederà ora.

Proviamo a convincere un perplesso, uno non del tutto convinto a versare dieci euro
Nel messaggio sul sito spiego che mi sento come quel tunisino da cui è nata la rivolta nel Maghreb. Che andava a vendere la frutta e la verdura al mercato e che, visto che lo Stato metteva tasse e gabelle insostenibili, si è dato fuoco. Anche noi siamo con il carrettino a cercar di vendere la nostra frutta e la nostra verdura su Internet, sulle tv a diffusione regionale, su Sky e potrebbero esserci pressioni governative per limitarci o per impedirci di andare in onda. Solo che noi non ci daremo fuoco e faremo il nostro programma lo stesso. Magari da una piazza, ma ci saremo: è più di una promessa. La battaglia è disegnare un futuro diverso del sistema informativo e televisivo: se avremo attorno uno stadio, migliaia di persone a sostenerci, ci sentiremo più forti. Non è solo una questione di soldi.

Sta dicendo che teme agguati, dopo anni di sgambetti in Rai?
È un’analisi fredda della situazione italiana. Io ho fiducia nel fatto che le televisioni territoriali giochino una partita fondamentale per il loro domani, perché sono state a lungo sacrificate sull’altare del monopolio. Ma è evidente che esiste la possibilità di pressioni, sia di tipo economico sia di tipo politico, nei confronti del network che manderà in onda la nostra trasmissione. È un ragionamento obiettivo: basta vedere che accade nella raccolta pubblicitaria di Mediaset. Si scoprirebbero cose interessanti.

Quali?
Per esempio quante sono le società d’influenza pubblica che stanno investendo pubblicitariamente nelle reti Mediaset in questo momento. Per capire se l’investimento è proporzionale a quello che fanno in Rai o sulle tv locali.

La tv generalista è in crisi come non mai. Gli ascolti, anche a Rai1 e Rai2, precipitano.
Siamo di fronte a un crollo verticale di audience della tv generalista terrestre, gli spettatori cercano di difendersi e si muovono nell’offerta con maggiore libertà rispetto al passato. Non tengono più conto di reti e testate, creando movimenti tellurici. Non è la povertà di Rai e Mediaset ad avvantaggiarci, ma la libertà con cui il pubblico si muove nei palinsesti. Ovviamente noi siamo una navicella leggera che deve stare attenta a non farsi trascinare nel vortice del Titanic.

Perfino Pino Insegno, cui hanno chiuso il programma per eccesso di ribasso, ha detto: la gente vuole più informazione.
La gente, in televisione, vuole buoni programmi che siano d’intrattenimento o d’approfondimento. Però sì: in un momento di crisi così grave e con i grandi cambiamenti alle porte il pubblico vuole sapere, capire.

Comizi d’amore sarà un talk-show?
La formula del talk mi è sempre stata stretta. Noi abbiamo, storicamente, avuto una componente di narrazione molto forte rispetto ai talk tradizionali e questo sarà il tratto distintivo del programma. Abbiamo a che fare con un pubblico che deve venirti a cercare con un po’ di fatica e un po’ di passione. Perciò deve sentirsi rappresentato e complice. È un’avventura interessante: ma se andrà in porto, chiunque vinca le elezioni deve sapere che avrà di fronte un pubblico nuovo, non più disponibile a farsi massacrare nei propri desideri e nei propri bisogni dal conflitto d’interessi o dai partiti.

Più spaventato o eccitato dalla sfida?
Tensione ce n’è molta: stiamo scalando una parete ripida. Si rifà tutto da capo: non ci sono strutture di supporto, non ci sono situazioni consolidate alle spalle, non c’è un editore. Ma è una condizione di immensa libertà creativa. E mi ridà una nuova vita rispetto agli ultimi due anni, in cui ho avuto straordinari successi, ma ho dovuto sopportare situazioni che avrebbero fatto stramazzare qualsiasi professionista. La cosa bella è potersi chiedere ‘che cosa facciamo?’ senza avere una diffida legale ogni quarto d’ora.

È una risposta a quelli che l’hanno accusata di crogiolarsi nel martirio?
Se pure dopo Trani e dopo le notizie sui rapporti tra Masi e Bisignani, qualcuno ancora sostiene che mi commisero, posso solo dire che queste persone mi fanno pena. Significa che non sanno far funzionare il cervello: le prove dei tentativi di censura nei nostri confronti sono evidenti.

Se passa la legge bavaglio lei che farà?
Se avrò tra le mani un’intercettazione di grande rilievo pubblico mi porrò il problema di mandarla in onda indipendentemente dalle pene che verranno stabilite. Spero che ci siano altri giornalisti che, assieme a me, siano pronti a condurre una battaglia di disobbedienza civile.

C’è una polemica sugli ospiti dei contenitori informativi. Sempre i soliti, si dice.
In questo momento è importante accendere i microfoni sulla realtà sociale, senza troppe mediazioni. Far sentire la voce di un Paese che si trova di fronte a una trasformazione epocale. Ho sempre cercato di trovare protagonisti nuovi e continuerò a farlo.

Qualcuno oggi propone addirittura la doppia conduzione. Fantasie a parte, l’equilibrio che viene invocato come una ricetta del confronto televisivo – ed è una ricetta praticata molto anche nei giornali – non deforma la realtà?
L’idea di dover sempre contrapporre uno che dice ‘A’ a uno che dice ‘B’ ha stancato. Ormai i sostenitori delle varie tesi sono diventati personaggi della commedia dell’arte, come Pantalone o Pulcinella. Noi cercheremo di trovare persone che sanno di che parlano e sono in grado di ascoltare, capaci di rispondere ad argomenti che non siano slogan. Io non credo alle due verità, però non bisogna mai smettere di verificare i fatti e dare spazio al dubbio.

da Il Fatto Quotidiano dell’8 ottobre 2011

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