Il governo Berlusconi ottiene la fiducia alla Camera con 316 voti a favore e 301 contrari su 617 votanti. L’opposizione puntava a far saltare il numero legale, ma i radicali sono entrati in aula all’ultimo momento vanificando il piano. E Rosy Bindi è sbottata: “Stronzi”. Dunque Silvio Berlusconi può contare sulla maggioranza assoluta alla Camera (composta da 630 deputati), e rivendica qualche numero in più: “La maggioranza è a quota 318, ma oggi due deputati non sono potuti venire a votare la fiducia”. Il riferimento è al detenuto Alfonso Papa e all’infortunato Pietro Franzoso. Precisa meglio Dennis Verdini, coordinatore del partito berlusconiano, secondo il quale nel computo della maggioranza bisogna tenere conto anche “di chi è in carcere in questo momento”.

Oltre ai 50 parlamentari in missione ufficiale per conto della Camera, secondo l’agenzia Ansa sono dodici i deputati che non hanno partecipato al voto di fiducia oggi. Nel Pdl non hanno votato Fabio Gava, Giustina Destro, Pietro Franzoso (in ospedale per un incidente) e Alfonso Papa (in carcere). Non si è presentato neppure Luciano Sardelli di Popolo e territorio, protagonista di frenetici contatti con Berlusconi per tutta la mattinata. A questi vanno aggiunti Calogero Mannino e Santo Versace. Nelle opposizioni, non c’erano Antonio Buonfiglio e Mirko Tremaglia di Fli, Elisabetta Zamparutti dei Radicali e Carmelo Lo Monte dell’Mpa. Assente anche Antonio Gaglione del gruppo misto.

Tutto da decifrare il comportamento dei cinque deputati radicali, che sono iscritti al gruppo del Pd: Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Coscioni, Maurizio Turco e Matteo Mecacci. Si sono chiusi in riunione staccando i telefoni per tutta la mattina, e verso la fine della prima “chiama” al voto si sono infilati in aula, mentre tutta l’opposizione restava fuori nel tentativo di far mancare il numero legale e invalidare la votazione. I radicali si sono espressi contro la fiducia, ma hanno di fatto alzato il quorum necessario per il numero legale. Il tutto mentre sul numero legale si apriva un giallo. Il regolamento della Camera prevede che il voto sia valido con la metà più uno dei deputati presenti, quindi 316. Gli uffici di Montecitorio, però precisavano che andavano “computati” anche i 50 deputati in missione. Successivamente, il presidente Gianfranco Fini precisava che per stabilire il numero legale era necessario aspettare una loro manifestazione di volontà di “presenza”.

Secondo il Pd, alla fine il comportamento dei radicali è stato ininfluente perché la maggioranza avrebbe ottenuto lo stesso la validità del voto. “I radicali non sono stati determinanti”, commenta Dario Franceschini, spiegando che al termine della prima chiama i votanti erano 322, di cui 315 sì (voti di maggioranza) e 7 no (cinque radicali e due Autonomie). Dunque il numero di 315, necessario per far scattare il numero legale, era già stato raggiunto prima dell’ingresso in aula dei radicali. La questione però resta aperta, dato che filtrano altre interpretazioni secondo le quali l’ingresso in aula al momento opportuno avrebbe “trainato”  il raggiungimento del risultato favorevole alla maggioranza. Comunque sia, la frattura politica rimane, così come il comportamento sfuggente tenuto dai radicali in questa mattinata delicata.

Nonostante lo scampato pericolo, per Berlusconi l’orizzonte non appare tranquillo se Umberto Bossi risponde “non lo so” a chi gli chiede se il governo durerà fino al 2013, precisando: “Berlusconi andrà al voto, quando lo decido io”. Sulla mattinata alla Camera, il segretario della Lega nord aggiunge: “Appena sono arrivato in aula ho capito che la fiducia sarebbe passata. La Lega c’era tutta e il Pdl anche”.

Il premier, passato l’esame dei deputati dopo una mattinata sul filo del rasoio, attacca l’opposizione: “Abbiamo sventato l’agguato che hanno tentato di portarci per non farci raggiungere il numero legale, secondo un trucco del più bieco vecchio parlamentarismo”, ha affermato parlando con i giornalisti in Transatlantico.

“E’ evidente che ad ogni voto di fiducia perdono pezzi”, ribatte Franceschini per il Pd. “Noi ci proviamo ogni volta e loro per giorno avevano detto che erano 320, 322… ogni voto di fiducia calano di 1,2,3. Di questo passo non siamo molto lontani”. E’ la linea ribadita dal segretario Pierluigi Bersani. ”Questo governo morirà di fiducia, oggi ha avuto un voto al ribasso. L’opposizione ha dimostrato di non accettare giochi di sopravvivenza sulla pelle del paese. Da domani il problema politico risulterà ancora più evidente”.

Per l’Idv, secondo Antonio Di Pietro “il governo non c’è più: non ha una maggioranza politica, ma solo numerica ed è dovuta al fatto che i radicali hanno cercato la loro visibilità”. Mentre per Pier Ferdinando Casini, Berlusconi è “l’ultimo dei mohicani, l’unico a credere che 316 voti gli risolvano i problemi”. La fiducia, continua, “è unavittoria scontata, ma è una vittoria di Pirro, perché nulla lascia presagire che da domani il governo riuscirà a governare”.

Prima del dibattito, Silvio Berlusconi puntava proprio alla maggioranza di 316 voti, ma sul risultato incombeva l’incognita dei vari “frondisti”. Alcuni deputati scajolani, Gava e Destro, avevano annunciato che non avrebbero partecipato al voto. “Non andrò a votare la fiducia’”, aveva dichiarato Fabio Gava prima della seduta.“Lo faccio perché non credo sia giusto votare la sfiducia essendo stato eletto nella lista del Pdl e per l’affetto sincero che provo per Berlusconi. Ma nel suo interesse reputo necessario un momento di decantazione per un allargamento della maggioranza”. Giustina Destro, ex sindaco di Padova, anche lei pidiellina vicina a Claudio Scajola, ha spiegato il suo dissenso al Corriere della Sera: “Non andrò a votare. E lo dico congrande dolore. Mi sento molto responsabile verso chi mi ha eletto e verso il mio Paese. Chi non vuole il governo di larghe intese, non vuole il bene della nazione”. Sempre sul Corriere, annuncia il voto contrario il “responsabile” Luciano Sardelli, di Popolo e territorio, che chiede a Berlusconi “un passo indietro”.

Nel pomeriggio viene resa nota una precisazione del Quirinale, secondo la quale Berlusconi non aveva alcun obbligo di dimettersi dopo la bocciatura del primo articolo del Rendiconto finanziario, l'”incidente” parlamentare che ha suscitato la richiesta di chiarimento, da parte del Capo dello Stato, sulla tenuta della maggioranza. Non vi era “un obbligo giuridico di dimissioni”, si legge nella lettera del Quirinale inviata ai capigruppo della maggioranza alla Camera, che si erano rivolti a lui per segnalare comportamenti a loro dire scorretti del presidente Fini. Ma il ricorso alla fiducia  “non dovrebbe eccedere limiti oltre i quali si verificherebbe una inaccettabile compressione delle prerogative delle Camere”. E nonostante il successo di oggi, il presidente Giorgio Napolitano torna a sottolineare “l’innegabile manifestarsi negli ultimi tempi di acute tensioni in seno al governo e alla coalizione”.

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