La manifestazione di ieri a Roma è stata impressionante per la partecipazione che ha saputo esprimere. Sicuramente la più grande fra quelle svoltesi in tutto il mondo. Espressione di un movimento vasto e articolato che stride singolarmente con l’afasia e l’incapacità delle forze politiche che dovrebbero rappresentarlo.
I gravi incidenti che si sono registrati ledono indubbiamente l’immagine di questo movimento. Non penso sia ammissibile alcun atteggiamento di accondiscendenza o la ricerca di scusanti sul piano sociologico. I gruppi organizzati che sono arrivati a Roma con l’obiettivo di cercare lo scontro ad ogni costo sono nemici del movimento e come tali vanno trattati. C’è chi, nell’ottica degna piuttosto di teppisti da stadio che di movimenti antagonisti, continua ad identificare le forze dell’ordine come il proprio obiettivo, ovvero si dedica alla devastazione e al saccheggio. Costoro vanno rieducati con tutti i mezzi necessari. La loro azione giova alle forze della conservazione e della reazione e va smascherata in quanto tale.
Tutti coloro che erano presenti in piazza ne erano del resto ben consapevoli, come dimostrato dalle reazioni di sacrosanta indignazione anche nei confronti delle azioni dei teppisti.
Critiche e riserve vanno formulate anche nei confronti della strategia prescelta dalla questura, la quale anziché prevenire le azioni dei gruppi violenti, ha attaccato alla fine della manifestazione indiscriminatamente le persone presenti in piazza San Giovanni, determinando una risposta di massa e quindi aiutando in ultima analisi i teppisti a conseguire il loro obiettivo di dar vita a una sorta di rivolta, degna solo delle masturbazioni mentali di qualche attempato e frustrato ex-settantasettino oramai in pensione.
Vanno peraltro respinte le accuse di “buonismo” formulate dal postfascista Alemanno. Al contrario, sono stati proprio gli attacchi indiscriminati nella logica di Alemanno ad aiutare i gruppetti violenti a conseguire il loro obiettivo politico impedendo una conclusione normale della manifestazione.
Non so se sia stato un elemento del tutto casuale. Certo è che, nella storia delle polizie di ogni luogo e di ogni tempo, assume preciso rilievo la figura dell’”agente provocatore” e che sperare che gli attuali gestori dell’ordine pubblico in Italia si siano definitivamente sbarazzati di questo retaggio potrebbe essere eccessivamente ottimistico. Chissà se qualcuno non abbia voluto in realtà raccogliere i suggerimenti del vecchio Cossiga…
Ad ogni modo, il movimento che ha manifestato ieri, in tutte le sue molteplici e variegate componenti organizzate, dai No Tav alla Fiom, dai Cobas agli occupanti del Teatro Valle, da quelli del Cinema Palazzo ai Movimenti per l’acqua, ecc., deve assumersi, anche sul piano organizzativo, le proprie responsabilità, impedendo per il futuro il ripetersi di episodi analoghi.
La rivoluzione è una cosa seria. Essa richiede fra l’altro la neutralizzazione e rottura dell’apparato statale, livelli elevati di auto-organizzazione del movimento di massa, chiarezza di obiettivi di fondo e, last but not least, l’esistenza di un partito rivoluzionario. La rivoluzione democratica che oggi è necessaria e urgente, in Italia come nel resto del mondo e in particolare nell’Occidente capitalistico, dovrà e potrà svolgersi in modo fondamentalmente nonviolento, anche perché sarà l’espressione degli interessi e delle aspirazioni del 99% della società contro il residuo 1% di sfruttatori. E’ bene ricordare che di quel 99% fanno parte sicuramente anche coloro che lavorano nelle forze dell’ordine, nonché, con ogni probabilità, i cittadini che sono rimasti vittime delle inutili devastazioni.
Rivoluzione non equivale certo a promuovere il caos e la lotta di tutti contro tutti, nell’ottica della disgregazione della società perseguita proprio dalle dinamiche del capitalismo selvaggio di Marchionne e dei signori di Wall Street; significa al contrario ipotizzare un ordine superiore, nel quale si possa finalmente affermare l’interesse pubblico contro i privilegi e i poteri incontrollabili di pochi settori, come la finanza. I teppistelli in azione ieri a Roma non hanno ovviamente nulla in comune con tutto ciò, sono solo l’espressione, oltre che di un indubbio disagio sociale che deve trovare però sbocchi ben più contundenti e costruttivi, di una subcultura violenta e marginale, e vanno messi in condizione di non nuocere più a se stessi e agli altri.