Al termine di una sparatoria costata la vita a nove persone, la polizia messicana ha arrestato El Chabelo, uno dei boss degli Zetas, il più pericoloso cartello del narcotraffico. El Chabelo è stato arrestato nello stato del Nuevo Leon, nel nord del Messico, assieme ad altre dieci persone, tutti membri del cartello, dopo un’operazione durata varie settimane e coordinata tra polizia ed esercito messicano. Tra gli arrestati ci sono anche altri tre esponenti di vertice dell’organizzazione, secondo la polizia messicana.
Gli Zetas sono un cartello formato soprattutto da ex militari e secondo alcune analisi controlla il traffico di droga in tutto l’est del Messico, dal confine con gli Usa fino allo Yucatan, con ramificazioni anche in Belize e altri paesi centroamericani.
L’arresto di El Chabelo, vero nome Marco Garza de León Quiroga ma conosciuto anche come José Andrés Mireles Quiroz, è la seconda operazione clamorosa delle autorità messicane in altrettanti giorni. Il 16 ottobre, infatti, l’esercito messicano è riuscito a liberare 61 persone, tenute in ostaggio in una casa della città di Piedras Negras, nello stato di Coahuila, vicino al confine con gli Stati Uniti. E anche se le autorità messicane non hanno detto quale cartello fosse coinvolto nel sequestro di massa, Piedras Negras, come altre zone di Coahiula rientra nella zona di influenza degli Zetas. Nell’operazione sono state arrestate tre persone, che sorvegliavano la casa e sono state sequestrate 6 tonnellate di marijuana.
Secondo i racconti dei prigionieri, riportati dai media messicani, le 61 persone erano state rapite in varie parti del Messico e poi costrette a lavorare per i narcos, con la prospettiva di un passaggio sicuro verso gli Stati Uniti. Non sarebbe la prima volta che qualcosa del genere accade nelle regioni di confine: l’anno scorso gli Zetas sono stati accusati di aver ucciso 72 persone, migranti che cercavano di entrare negli Usa, perché si erano rifiutate di lavorare per il cartello e nello stato di Tamaulipas, sempre nel nord del Messico, sono state trovate fosse comuni con più di cento corpi, molti dei quali di persone rapite in varie zone del paese. Uno dei prigionieri di Piedras Negras, secondo la stampa messicana, è un cittadino dell’Honduras rimasto vittima dei narcos sulle rotte dell’emigrazione illegale verso gli Usa.
Al di là di queste due operazioni clamorose, però, la questione della lotta al narcotraffico ha fatto irruzione nella campagna elettorale, praticamente già in corso, per le presidenziali del primo luglio 2012. Il presidente Felipe Calderón, infatti, domenica, rispondendo alle domande dei cronisti a proposito della sua intervista apparsa sul New York Times, ha detto che il Partido revolucionario institucional (Pri, che ha governato il Messico per oltre 70 anni, fino al 2000) sarebbe pronto a scendere a patti con i cartelli della droga pur di assicurare al paese una parvenza di pace interna. Il Pri, che è all’opposizione a livello federale, si presenta come il principale avversario del Partito di azione nazionale (Pan) di Calderón, i cui consensi stanno calando vertiginosamente sia a causa della violenza della guerra contro i narcos (almeno 40 mila morti in cinque anni) sia per la pessima performance economica del paese. Il candidato presidente del Pri, Enrique Pena Nieto, secondo alcuni sondaggi, è saldamente in testa alle preferenze dei messicani per la prossima tornata elettorale.
La direzione del Pri (un partito spesso toccato da pesanti scandali di corruzione, sia a livello federale che statale) ha respinto le accuse di Calderón e ha detto che il presidente, non potendo contare su argomenti solidi per la campagna elettorale del Pan, ha deciso di usare la paura e il discredito per intimidire gli elettori e usa il peso e le informazioni che gli derivano dalla carica che occupa per influenzare la campagna elettorale. «Se il presidente, in virtù del suo ruolo istituzionale, ha informazioni precise per sostenere queste accuse – ha detto il deputato del Pri Fernando Morales al quotidiano La Jornada – dovrebbe riferirle alla magistratura e non impiegarle per lanciare una guerra sporca contro il partito che in questo momento è il favorito per le elezioni dell’anno prossimo».
di Joseph Zarlingo