Stop più o meno permanente alla speculazione “nuda” sui derivati assicurativi, nuove restrizioni per le famigerate vendite allo scoperto. Nel giorno del passaggio di consegne Trichet-Draghi al vertice della Banca Centrale Europea, l’Ue festeggia il definitivo accordo regolamentare sulle operazioni finanziarie più rischiose. Quelle, per intenderci, che negli ultimi mesi hanno premiato generosamente gli operatori ribassisti, soffiando al tempo stesso vento di tempesta sui mercati. Eppure, nell’intesa siglata ieri, c’è tutto l’implicito rammarico per un provvedimento tardivo e, allo stato attuale delle dinamiche di mercato, tutto sommato poco importante. Una svolta normativa, insomma, che rischia di assumere un significato marginale. Senza dare alcuna garanzia reale ai regolatori e, va da sé, alla stabilità di un mercato pronto ad affrontare nuovi contraccolpi nel suo massimo epicentro speculativo: l’Europa, ovviamente.

Ricapitolando: l’intesa raggiunta in sede Ue obbligherà gli operatori “short” – ovvero i trader che si impegnano nella vendita allo scoperto dei titolia fornire maggiori informazioni circa le proprie posizioni alle autorità di vigilanza del Continente a cominciare dall’Esma, la European Securities and Markets Authority, cui sarà attribuito anche il potere di bloccare le vendite short in casi di particolare necessità. Nulla da fare, invece, per l’obbligo di deposito del controvalore della vendita, proposta che avrebbe limitato il ricorso alla leva finanziaria (ovvero al sovra indebitamento) da parte dei fondi hedge, indiscussi attori protagonisti, ma forse sarebbe meglio dire “registi”, delle ondate ribassiste estive.

In pratica, dunque, la vera novità consiste solo nell’imposizione di una regolamentazione comune per tutti i Paesi membri. Un aspetto importante, non c’è che dire, ma anche non sufficiente di per sé a determinare quella svolta fondamentale che qualcuno aveva auspicato. In sintesi: gli speculatori saranno chiamati a fornire tutte le informazioni del caso ma nulla impedirà loro di indebitarsi a dismisura per investire al ribasso. Moltiplicando così il loro impatto sui mercati e, di conseguenza, il volume delle perdite.

Importanti, ma probabilmente non decisive, le proibizioni sul fronte dei naked Cds, ovvero i derivati assicurativi scambiati in assenza di sottostante. In pratica, salvo casi particolari, gli operatori che non possiedono i titoli di Stato non potranno più scambiare i derivati assicurativi costruiti a protezioni degli stessi. Chi non detiene obbligazioni italiane o portoghesi, in altre parole, non avrà più la possibilità di giocare alla speculazione al ribasso attraverso i derivati che, di conseguenza, verrebbero ridotti al loro ruolo naturale di strumenti assicurativi ad esclusiva disposizione di chi ha un legittimo interesse a proteggersi (i creditori di Italia e Portogallo, ad esempio). Sulla carta si tratta di una svolta epocale – al netto delle eccezioni che la regolamentazione stessa contempla – ma la realtà, tutto sommato, appare un po’ diversa. Lo evidenziano, in modo inequivocabile, le più recenti dinamiche del mercato che hanno visto un forte ridimensionamento del ruolo speculativo dei Cds stessi. Come si è ampiamente compreso questa estate, infatti, le scelte degli speculatori si sono ormai orientate direttamente sui titoli oggetto dei ribassi e non più, come avveniva in passato, sui loro derivati. Chi volesse “shortare” l’Italia, tanto per intenderci, non punterebbe più alla vendita dei nostri Cds preferendo al contrario un più diretto gioco al ribasso sulle obbligazioni. Difficile, per questo, pensare che i nuovi divieti possano fermare eventuali nuove ondate speculative qualora gli operatori, esaurito l’effetto rimbalzo che da qualche tempo condiziona le borse, decidessero che è giunto di nuovo il momento di scommettere sulle perdite e sulla sfiducia.

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