Un cordone di agenti in tenuta antisommossa. Di fronte, quasi corpo a corpo, i manifestanti no tav. In mezzo Olga, volto storico della protesta, incita la folla a gridare “giù le mani dalla Val Susa”. Non è l’attimo prima di uno scontro annunciato. E’ uno scatto: il fermoimmagine di una giornata di lotta pacifica in cui forze dell’ordine e manifestanti si sono guardati negli occhi senza paura. Talvolta anche con un sorriso.
Eppure, sul corteo di oggi il carico di tensione era pesantissimo. Dagli scontri di sabato scorso a Roma i tentativi di ricondurre la guerriglia urbana nella Capitale a presunti “campi di addestramento per black bloc” in Val di Susa sono stati numerosi, dall’informativa del 18 ottobre al Senato del ministro dell’Interno Roberto Maroni ai numerosi articoli di stampa usciti sull’argomento. Per questo i riflettori si sono accesi su una lotta che in realtà va avanti da più di vent’anni coinvolgendo generazioni di valsusini che la linea dell’alta velocità Torino-Lione proprio non la vogliono. “Ci fa piacere che i giornalisti si siano accorti di noi – spiega una delle donne alla testa del corteo – Ma noi qui ci siamo sempre stati e sempre ci saremo”.
“E’ una vittoria per tutto il movimento – spiega Alberto Perino, leader dei no Tav – Abbiamo dimostrato che non esiste alcuna linea rossa nella nostra terra”. Già, perché gli ottomila (1500 per la Questura, 15mila per gli organizzatori) manifestanti che già dalle 9 di questa mattina traboccavano nella piazza principale del piccolo Comune di Giaglione, non si sono affatto arresi di fronte agli sbarramenti che proteggono il cantiere. E così dopo il taglio simbolico della prima rete, un fiume di persone arrivate in massa da tutto il Piemonte ma anche da Liguria, Toscana e Francia, si è riversato nei sentieri dei Monaci, le strade di montagna che solcando il torrente Clarea, arrivano fino alla baita, alle spalle del cantiere. Fino ad un vero faccia a faccia con il cordone di polizia schierato a difesa degli scavi.
Alla fine, quella che doveva essere la madre di tutte le battaglie si trasforma in una festa. C’è chi arrostisce le castagne su un fuoco acceso al momento; chi improvvisa un comizio davanti ai carabinieri, chi canta. si tiene una breve assemblea per decidere cosa fare: “Gli obiettivi sono stati raggiunti”, decide Perino. Si va via. “Chi pensava di spaventarci creando questo clima d’attesa, sappia che noi siamo qui. E ci saremo per ognuna dele 52 domeniche dell’anno”.