“Ci vuole altro per abbattermi”. Rino ‘Ringhio’ Gattuso vuole continuare a combattere, come è abituato a fare da sempre sui campi di gioco. Da cinquanta giorni o poco più sta lottando contro un male non comune, una paralisi al sesto nervo cranico, che gli sta procurando una serie di guai piuttosto seri. Ieri si è presentato alla conferenza stampa che molti addetti ai lavori si aspettavano fosse stata convocata dal giocatore per dire basta al mondo del calcio. E invece, no, lui, Ringhio non vuole cedere. Porta un paio di occhiali che lo aiuta a vedere chi ha di fronte e spiega le ragioni della sua lunga assenza.
“Pensavo negativo, c’è stato un momento che pensavo al peggio, altro che tornare in campo. Ora però penso solo a tornare a giocare”. Il 33enne centrocampista di rottura del Milan di Allegri, uomo simbolo del calcio fondamentalmente puro e straordinariamente semplice (nel senso più alto e lodevole del termine), ha temuto inizialmente di soffrire i sintomi di una grave malattia. “Poteva essere un tumore al cervello, un ictus o una paralisi dovuta ad un evento traumatico”. Rodolfo Tavana, il medico sociale rossonero che si sta occupando del caso in prima persona, racconta di aver escluso insieme con alcuni specialisti le patologie che più spaventavano. Certo, il problema all’occhio c’è e non è da sottovalutare, ma non è difficile capire che le cose potevano andare decisamente peggio.
“Se levo gli occhiali vedo doppio”, dice Gattuso, che ricorda come tutto ebbe inizio. Era il 5 settembre, Ringhio si stava allenando con i compagni a Milanello. “Mi sono fermato perché vedevo delle macchie. Il medico (ndr, Tavana) mi ha consigliato di non giocare qualche giorno dopo contro la Lazio, la visita era stata fissata per il lunedì successivo. Lui non voleva e io l’ho quasi appeso al muro perché non ero d’accordo. Ho seguito il diavolo cattivo che c’è in me e sono sceso in campo. Sono stato costretto a uscire dopo uno scontro con Nesta, ma non è questa la causa della mia paralisi. In quella partita ho passato i 20 minuti più brutti della mia vita. Sembravo ubriaco, vedevo Ibra in quattro posizioni diverse”.
Il rossonero sta continuando ad allenarsi con la squadra. Ma prima di capire se e quando potrà riprendere a giocare dovrà attendere almeno altri 4 mesi. Se per allora la situazione non sarà migliorata, dovrà probabilmente valutare l’ipotesi di sottoporsi ad un’operazione. “Non nascondo che quando mi sveglio al mattino apro prima l’occhio buono poi piano piano l’altro, sperando di vederci in modo normale”. Le parole di Gattuso definiscono i contorni di un dramma che si riflette inevitabilmente nel quotidiano. “E’ brutto non poter portare i miei figli a scuola perché non posso guidare. E’ brutto andare al computer e non riuscire a scrivere la lettera che hai in mente perché sbagli a toccare tasto. Oppure provi a guardare la televisione, e la vedi in un posto diverso da dove sta”.
E se Cassano prova a mettergli il sorriso con scherzi e battute, e Allegri gli dichiara pubblicamente la sua stima (“Lui è un esempio per tutti: la voglia con cui si allena e lo spirito che ha deve far riflettere un po’ tutti, a partire dai giocatori più giovani che ogni tanto si lasciano un pochino andare”), è lo stesso Ringhio a tirarsi fuori dal pantano della commiserazione per regalare un pensiero a Marco Simoncelli. “Era un ragazzo che amava la vita, sempre disponibile. Per questo, l’Italia lo piange con affetto e amore incredibile”. Davanti a lui, una maglia rossonera con il nome del giovane campione romagnolo. Gattuso non molla e non mollerà, non l’ha mai fatto.