Conto alla rovescia per l’Iraq, che a breve tornerà a essere un Paese del tutto sovrano. Entro la fine dell’anno, infatti, gli ultimi soldati Usa lasceranno le postazioni che hanno occupato per otto anni, ma nel Paese cresce la paura per una nuova ondata di attentati. Giovedì un duplice attentato ha colpito ancora una volta Bagdad, segnando il bilancio di vittime più altro degli ultimi tre mesi: almeno 32 morti e più di 70 feriti.

E mentre file di corazzati sfilano verso il Kuwait, il Paese si ritrova sospeso tra un’ economia in piena crescita, istituzioni progressivamente più forti e lo spettro sempre presente di una recrudescenza delle violenze.

Una cosa è certa: nel 2012 non resteranno basi straniere su suolo iracheno e neanche addestratori Usa, come per mesi era stato ventilato, a meno di un colpo di reni che riporti in pista il tentativo di accordo tra Bagdad e Washington. Proprio la scorsa settimana, infatti, il presidente Usa Barack Obama ha sciolto ogni riserva affermando che tutte le truppe rientreranno per Natale. Bagdad, insomma, proverà a farcela con le sue forze.

Un passaggio storico per il Paese, condito da una certa dose di tensione. E’ vero che il portavoce del governo, Ali al Dabagh, nei giorni scorsi ha salutato il ritiro come “un successo nell’applicazione degli impegni tra i due paesi”, ma lo tesso governo non fa mistero dei suoi timori in termini di sicurezza. Motivo per cui si stanno intensificando le azioni di polizia e esercito. Nel mirino, da una parte ci sono gruppi terroristici legati in qualche maniera al macro-universo di al Qaeda, che potrebbero essere all’origine di una serie di attentati come quelli che anche lunedì scorso hanno colpito diversi quartieri di Bagdad provocando cinque vittime e oltre 30 feriti, ma sotto osservazione c’è anche quel che resta dei dirigenti del vecchio partito Baath.

Lo spettro del vecchio regime è difficile da scacciare, le ferite sono ancora profonde, come del resto quelle dell’occupazione. E la questione del trattamento degli ex uomini vicini a Saddam è ancora materia delicata, sulla quale tornano spesso anche le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Proprio di recente, Amnesty International ha lanciato un appello alle autorità irachene per non giustiziare cinque alti dirigenti dell’ex regime, tra i quali l’ex ministro della Difesa Sultan Hachem Ahmad.

La sicurezza è in cima all’agenda del nuovo Iraq, come lo sono gli investimenti nel settore della Difesa, nei quali Washington gioca un ruolo di primo piano.

Ad agosto, infatti, il primo ministro iracheno ss ha annunciato il piano di acquisto di caccia F-16 della Lockheed Martin, raddoppiando l’ordine da 18 a 36 proprio per la “necessità di dotare l’Iraq di un’aviazione in grado di difendere la sovranità del Paese” e sottraendo una parte di fondi che precedentemente erano stati destinati a programmi di sostegno alle fasce più povere della popolazione.

Difficile dire esattamente quanto le forze di sicurezza irachene siano in grado di controllare il territorio. Secondo un recente rapporto dell’ispettore speciale Usa per la ricostruzione in Iraq, Stuart Bowen, il Paese sarebbe ancora “estremamente pericoloso” e decisamente meno sicuro rispetto al 2010.

Di diverso avviso le Nazioni unite. “Ci sono le condizioni per un prudente ottimismo” anche in termini di sviluppo di un Paese che ormai “è un membro attivo della comunità internazionale”, ha sottolineato quest’estate nella sua relazione all’Onu l’emissario delle Nazioni unite in Iraq Ad Melkert.

Secondo l’emissario, infatti, il processo di normalizzazione politica e il ruolo crescente del parlamento nei processi decisionali sono tra i maggiori successi del nuovo Iraq. Senza considerare l’economia di Bagdad, in crescita del 10% nel 2010 rispetto all’anno precedente grazie anche all’iniezione di investimenti stranieri. Una cifra che ammonta a circa 43miliardi di dollari, in settori che vanno dall’edilizia alle infrastrutture fino al sistema sanitario e all’agricoltura. Inoltre, elemento niente affatto secondario in termini di prospettive di crescita economica, secondo il rapporto annuale 2011 dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio l’Iraq è fra i pochi Paesi che ha visto crescere di netto le proprie riserve petrolifere (+24,4 %), mentre quelle di altri Paesi, dall’Algeria al Kuwait, son ferme dal 2006.

di Tiziana Guerrisi

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