Gianfranco Fini tira fendenti al governo, al Pdl e alla Lega. Un discorso tutto politico, con toni da campagna elettorale, nel giorno in cui i riflettori mediatici sono puntati sulla convention dei “rottamatori” del Pd. E in una fase nella quale le elezioni anticipate sono un’ipotesi concreta, dato lo scontento sempre meno sotterraneo che alberga nella compagine berlusconiana.

Il presidente della Camera, intervenuto a Firenze al congresso regionale di Fli, ha attaccato innanzitutto la “libertà di licenziare”, cioè un punto di forza delle ultime proposte anticrisi dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi. “Se si tende soltanto a favorire la possibilità di licenziare, corriamo il rischio di veder moltiplicare il tasso di disoccupazione che da qualche anno a questa parte sta crescendo e che riguarda in particolare un’area del Paese”, ha affermato. “Mi auguro che il governo non sia così irresponsabile da non confrontarsi con le parti sociali e con le categorie economiche, per tutelare non solo le imprese ma anche per farle crescere e competere”. In caso contrario, “si rischia un autunno caldo che ci farebbe tornare indietro”.

Sempre in tema di economia, il presidente della Camera ha sostenuto l’ipotesi di un’imposta patrimoniale, in modo molto polemico verso il partito di cui è stato cofondatore, e contro lo stesso Berlusconi: “Nel Pdl non si rendono conto di quanto sia ingiusto dire che non si può mettere una tassa patrimoniale, facendo salva la prima casa, come continua a dire il presidente del Consiglio, perché questo colpirebbe i loro elettori di riferimento”. E ancora: “”Il Pdl non è un club di milionari”. In un momento di crisi così grave, ha continuato Fini, l’Italia “merita di più delle divisioni tra gli amici di Berlusconi e chi lo vuole abbattere”.

Ce n’è anche per l’altro ex alleato, la Lega di Umberto Bossi, toccata nel vivo sull’”inganno” del federalismo. “Bossi non può presentare l’utopia fallimentare del federalismo, che si è rivelato un clamoroso inganno”, ha attaccato Fini. “Il suo federalismo ha fatto moltiplicare le tasse: oggi i cittadini e gli imprenditori pagano le tasse come mai le hanno pagate prima”. Non è tutto: “Se la Lega rilancia la bandiera stinta della secessione è solo perché non può presentare un bilancio positivo ai suoi elettori. Rispolverare la bandiera inesistente dell’identità padana altro non è che la manifestazione di un fallimento”.

La sintesi finale chiama in causa tutta la compagine di governo, e di nuovo l’ottimista a oltranza Berlusconi: ”Per mesi e mesi si è autocelebrato quotidianamente il rito dell’Italia che reggeva la crisi. Non era vero. L’Italia non è il paese dei balocchi. La crisi si è fronteggiata e si fronteggia tenendo i conti pubblici sotto controllo, cosa indispensabile, ma sarebbe stato meglio non aver negato per troppo tempo la necessità di farlo”.

I toni usati dalla terza carica dello Stato suscitano la reazione dle centrodestra: “Fini ha ragione, l’Italia merita di più”, ironizza il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto. “Merita qualcosa meglio di un presidente della Camera che ogni giorno umilia la sua carica istituzionale asservendola a quella di partito”. E snocciola una lunga serie di predecessori che nel loro mandati si sono mantenuti imparziali: Schifani, Bertinotti, Pera, Violante, Casini, Iotti, Spadolini, Pivetti, oltre all’attuale presidente del Senato Renato Schifani. “Lui dovrebbe fare altrettanto – ammonisce Crosetto – oppure dovrebbe avere la serietà, ben comprendendo che nessun altro nel suo partito è in grado di portare consenso a Fli, di ritornare a tempo pieno all’attività politica”.

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