Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi

L’allarme terrorismo legato alle politiche sul lavoro non nasce da lettere di minacce o da analisi dell’intelligence. E’ una domanda di Maria Latella, nel suo programma su SkyTg24, a innescare il caso politico. “Lei ha paura?”, chiede Latella in un’intervista al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sulla cosidetta “libertà di licenziare”. “Ho paura per persone potrebbero non essere protette e proprio per questo diventare bersaglio della violenza politica che, nel nostro paese non si è del tutto estinta”.

La mente corre agli omicidi di Massimo D’Antona (1999) e Marco Biagi (2002), entrambi esperti consulenti del ministero del Lavoro, entrambi uccisi dalle nuove Brigate rosse. Un parallelo che il ministro rende esplicito, evocando un’azzardata continuità tra la “violenza verbale” e l’omicidio: “Oggi vedo una sequenza dalla violenza verbale, alla violenza spontanea, alla violenza organizzata che mi auguro non arrivi ancora una volta anche all’omicidio come è accaduto, l’ultima volta dieci anni fa proprio con il povero Marco Biagi nel contesto di una discussione per molti aspetti simile a quella di oggi. Perché già allora parlavamo non di licenziamenti facili ma, piuttosto, di come incoraggiare le imprese a intraprendere, ad assumere, ad ampliarsi, a crescere”.

La dichiarazione infiamma la polemica politica, perché se è vero che in Italia lo spettro del terrorismo ha attraversato i decenni, evocarlo a freddo e gettarlo nel legittimo dibattito politico può rivelarsi molto pericoloso. Questo, tra l’altro, il senso della repliche arrivate da Susanna Camusso, segretario della Cgil, e da Olga D’Antona, parlamentare del Pd e vedova di Massimo.

Su questo punto Sacconi è recidivo. Non è la prima volta, infatti, che si addentra sul terreno scivoloso del parallelo tra attività politico-sindacale e terrorismo. Il 19 marzo 2002 le Brigate rosse uccidono Biagi a Bologna.. “Non c’è dubbio che in giro ci sono cattivi maestri che hanno una grave responsabilità nell’omicidio del professor Marco Biagi”, commenta l’allora sottosegretario al Welfare. “Sono coloro che hanno trasformato una normale, fisiologica dialettica politica e sindacale in una scelta di civiltà”. Siamo al culmine del dibattito sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori – quello che prevede il reintegro dei dipendenti licenziati senza giusta causa o giustificato motivo – che il governo Berlusconi vorrebbe abolire.

Pochi giorni dopo l’omicidio, il 23 marzo, è in programma la manifestazione della Cgil, guidata da Sergio Cofferati, indetta contro quel provvedimento. Il momento scelto dalle Br non sembra casuale, la tensione è alta, e il ricordo del G8 di Genova dell’estate precedente è ancora caldo. Ma la preoccupazione di Sacconi non è di rasserenare il clima: “Quella della Cgil di domani a Roma è una manifestazione contro le idee di Marco Biagi”, afferma alla vigilia dell’iniziativa. “Mi auguro soltanto che non sia all’insegna del ‘nessun confine a sinistra’”.

Allora come oggi, si apre una polemica furiosa, piovono richieste di dimissioni, la Cgil rivendica la differenza tra dissenso e terrorismo. Sacconi farà una parziale marcia indietro, rettificherà , smusserà. La partecipazione alla manifestazione che secondo il sottosegretario al Welfare è “contro Marco Biagi” sarà oltre ogni attesa. Il numero dichiarato dal sindacato è di tre milioni di persone, ma al di là dei conteggi si tratta senza dubbio di una delle iniziative politiche più affollate del Dopoguerra. La giornata del 23 marzo, chiusa dal comizio di Cofferati, non registra il minimo incidente. Per Sacconi resta comunque “un brutto giorno”. La riforma dell’articolo 18 non si farà.

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