Alcuni degli omicidi di mafia avvenuti a Milano, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, raccontano molto delle dinamiche di allora interne a Cosa nostra. E siamo all’ombra del Duomo e non a Palermo o a Catania. Ecco così che per fatti clamorosi arriva oggi una richiesta clamorosa. Il pm della Dda di Milano, Marcello Musso, ha chiesto la condanna all’ergastolo, con isolamento diurno, per il “capo dei capi” di Cosa Nostra Totò Riina, imputato per l’omicidio di Alfio Trovato, mafioso catanese vicino al gruppo meneghino di Jimmy Miano, giustiziato nel 1992 in via Padova. Santo Mazzei, Salvatore Facella e Carmelo Tasca furono coloro i quali si occuparono dell’esecuzione materiale dell’omicidio. I primi due sono stati già condannati in abbreviato rispettivamente a 30 e a 12 anni di carcere, mentre anche per Tasca è stato chiesto l’ergastolo.

L’omicidio Trovato è avvenuto nel maggio dello stesso anno in cui prese il via la “campagna stragista” della mafia siciliana, preludio alla trattativa che i padrini instaurarono con uno Stato impotente e connivente. Mazzei e Facella furono i due che su ordine di Salvatore Riina e della Cupola di Cosa nostra, sistemarono nell’ottobre del 1992 nel Giardino dei Boboli a Firenze – accanto agli Uffizi – un pezzo di artiglieria. Un ordigno che per fortuna non esplose, ma che rappresentò per la Corte di Assise di Firenze – che nel giugno del 1998 giudicò il ghota di Cosa nostra – “preludio in tono minore della campagna stragista del ‘93”.

Perché Mazzei e Facella, qualche mese prima di piazzare quella bomba, salirono a Milano a commettere un duplice omicidio? La risposta è tra le carte della lunga inchiesta condotta da Marcello Musso. Un lavoro che ha portato alla sbarra, in corte d’Assise a Milano, Salvatore Riina, per il quale oggi viene richiesto il massimo della pena.

Il capo dei capi, ai vertici della commissione provinciale di Palermo di Cosa Nostra, è accusato di aver sostenuto nella primavera del ’92 Mazzei e Facella nella loro azione milanese. In realtà l’appoggio era soprattutto per il primo, catanese impegnato in una battaglia contro una cosca rivale. Quella di Luigi Miano, detto “Jimmy”, da anni trasferitosi dalla Sicilia nel capoluogo lombardo.

Il progetto originario era eliminare proprio Miano, ma essendo questi latitante in Francia la scelta cadde su Alfio Trovato, figlioccio del capo e titolare di una bisca in via Padova. Qui venne ucciso con diversi colpi di pistola. Facella, anche se più giovane di Mazzei di un anno, era un veterano di Cosa nostra, mentre il secondo all’epoca nemmeno era affiliato. Gli ordini che il primo aveva ricevuto da Riina erano d’inventarsi ogni escamotage per “non fare ammazzare il Mazzei”, aiutandolo anche logisticamente ad attuare il suo progetto.

In quei mesi, si apprende attraverso l’inchiesta di Musso, molti dei pezzi da 90 della Cupola si spesero per dare una mano a Mazzei. Oltre a Riina, il cognato di quest’ultimo, Leoluca Bagarella, insistette su Facella affinché ogni desiderata del catanese trovasse soluzione. Anche Giovanni Brusca fu tirato in mezzo. Lui doveva riallacciare i suoi contatti milanesi, che erano tanti, per aiutare il Mazzei a stanare la sua preda.

Nel novembre del 1992, Santo Mazzei fu arrestato. In precedenza però il catanese poté far carriera in Cosa nostra. A Mazara del Vallo, nell’agosto, fu affiliato alla presenza di Bagarella, Brusca e naturalmente Riina. In un interrogatorio svolto a Milano nel 2006, Facella ricorda che all’epoca dell’omicidio Trovato, Mazzei non era ancora in Cosa nostra “ma aveva lo stesso tutto il sostegno di cui aveva bisogno”. Questo un po’ per la fiducia ottenuta, “un po’ – spiega Facella – perché portava avanti una guerra che interessava a Riina, anche se si svolgeva a Milano”.

Quello che voleva fare il capo dei capi era riportare Milano sotto Cosa Nostra. “Come era una volta – dice sempre il Facella – quando c’era Luciano Liggio… Insomma riprendere Milano sotto ‘Cosa Nostra’, perché Riina diceva: ‘Milano è nostra… Non è di Jimmy Miano o dei calabresi… È cosa nostra e non è degli altri’ “.

Mazzei ammazza Trovato, entra ufficialmente nell’organizzazione e diventa pedina dei piani stragisti del capo dei capi. Un altro uomo d’onore pentito, Vincenzo Sinacori, ne è testimone diretto. Dichiara infatti: “Durante un incontro a Mazara del Vallo, Riina si è appartato a parlare con Facella e Mazzei; credo che in tale occasione Riina abbia dato disposizioni di compiere delle azioni dimostrative, in particolare in Toscana…” Qualche settimana dopo viene trovato un ordigno a Firenze e l’Italia precipita nell’incubo delle stragi di mafia.

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