Con il sì dell’Unesco all’adesione della Palestina come Paese membro a tutti gli effetti dell’organizzazione, il presidente palestinese Abu Mazen è riuscito nel suo intento di aprire una breccia non da poco sulla strada per l’ingresso a pieno titolo di Ramallah alle Nazioni Unite.
Del resto lo stesso presidente lo aveva annunciato già a settembre, quando il tentativo di ottenere alla prima assemblea annuale dell’Onu il sì storico al riconoscimento dello Stato palestinese era andato a vuoto: non ci arrenderemo e percorreremo ogni altra possibile strada. Così è stato, e il bottino incassato questa mattina a Parigi, con 107 voti a favore a fronte di soli 14 no, sia pur con un fronte di astenuti piuttosto alto (52), gioca a suo favore e rende il voto un precedente difficilmente trascurabile anche per quanti, Israele e Washington in testa, vogliono a tutti i costi scongiurare il riconoscimento dello Stato palestinese all’Onu.
Gli Stati uniti, che hanno negli ultimi mesi messo in campo tutti i loro sforzi diplomatici per scongiurare un panorama di questo tipo e hanno definito “inaccettabile” il voto di oggi, minacciano ora la sospensione dei finanziamenti Usa all’Unesco, pari al 22% dei 653 milioni dollari totali del fondo.
Il problema è molto concreto: se il presidente Usa Barack Obama in più di un’occasione ha manifestato pieno sostegno all’impegno dell’Unesco, deve però fare i conti con una legge degli anni Novanta che impedisce di finanziamenti a ogni organismo Onu che accetti l’ingresso della Palestina come Stato a pieno titolo.
Una posizione a dir poco scomoda per Obama, come riportano anche diversi media Usa, che rischia di congelare nuovamente i rapporti tra Wahington e l’organizzazione parigina come era accaduto sotto Ronald Reagan e per tutti gli anni ’90. All’epoca la Casa Bianca contestò le politiche dell’agenzia Onu, accusata più o meno velatamente di anti-americanismo e di non aver abbracciato a dovere i valori del mondo occidentale. Nel 1984 Reagan ritirò la delegazione statunitense con pesanti ripercussioni finanziarie che anche oggi potrebbero significare l’immediata soppressione di diversi programmi culturali e la diminuzione del personale. Quasi un paradosso se si pensa che Hillary Clinton è stata il primo segretario di Stato americano in assoluto a visitare l’organizzazione proprio quest’anno (in occasione di un progetto di promozione dell’educazione delle giovani donne) e che lo stesso Obama ha più volte sostenuto l’operato di Irina Bokova, attuale direttore generale dell’organismo delle Nazioni unite.
Pesanti potrebbero essere anche le conseguenze del voto di oggi sul campo, almeno a giudicare dalle prime reazioni israeliane. Tel aviv, infatti, oltre ad aver subito definito “una tragedia” la decisione dell’Unesco e annunciato di voler rivedere la sua cooperazione con l’organizzazione, ha fatto sapere che potrebbe rompere i rapporti con l’Autorità nazionale palestinese accusata di aver gettato al macero ogni possibile trattativa di pace.
“Dobbiamo prendere in considerazione la rottura di ogni legame con l’Autorità nazionale palestinese. Non possiamo accettare di continuo le sue iniziative unilaterali” ha commentato il ministro degli Esteri, Avidgor Lieberman, aggiungendo di non essere disposto ad accettare “che Israele diventi il fesso della Regione. Non è ammissibile che una volta dopo l’altra ci venga sputato in faccia, e poi si venga a dire che è solo una benefica pioggerella”.
Già nei giorni scorsi, del resto, il leader di Israel Beitenu se l’era presa con il presidente dell’Anp definendolo uno dei “maggiori ostacoli” alla pace fra israeliani e palestinesi. Ma se dovessero saltare anche i rapporti con l’Anp, già molto altalenanti, questo potrebbe inasprire anche la resa dei conti tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, dove da sabato lanci di razzi da parte di miliziani palestinesi e raid arei israeliani hanno ucciso 12 palestinesi e un israeliano.
A rendere ancora più difficile la situazione sul terreno la totale assenza di una linea forte dell’Unione europea che ancora oggi, in sede di voto all’Unesco, ha mostrato di non avere una posizione comune, la cui maturazione non sembra essere neanche nell’agenda del Vecchio continente. Alla Germania che ha votato contro ha fatto da contraltare il sì di Francia, Belgio, Spagna e Austria e l’astensione di Italia e Gran Bretagna. Una decisione per nulla apprezzata da Tel Aviv, che ha cassato come “deludente” il comportamento dell’Ue.
di Emma Sagonà