Scoperto da De Benedetti, chiamato nel mondo bancario da Bazoli, portato nel settore pubblico da Prodi, avvicinato alla politica da Casini (tramite l’associazione Italia Futura che fonda insieme a Luca Cordero di Montezemolo) infine insediato al governo da Mario Monti con una delega amplissima: sviluppo economico e infrastrutture. In un quarto di secolo di carriera Corrado Passera si è occupato di editoria, finanza, credito, amministrazione pubblica, informatica e trasporti. Conservando sempre la nomea (e i comportamenti) da enfant prodige, quelli che permettono di giustificare gli insuccessi ed elogiare i successi. Molti, va detto. Come gli incarichi ricoperti. Amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, rappresenta la banca nel patto di sindacato di Rcs Mediagroup (che riunisce i grandi soci del gruppo editoriale) e nel comitato esecutivo dell’Abi.

Tra gli incarichi in consigli di spicco, al dì fuori delle società quotate in Borsa, quello nella Fondazione la Scala (Intesa Sanpaolo è tra i soci fondatori del teatro milanese) e nell’università Bocconi di Milano. Ma il dicastero che è stato chiamato a occupare ha competenza nei settori in cui Passera è stato attivo in questi anni: trasporti e infrastrutture. Il riferimento è in particolare alla partecipazione, detenuta dall’istituto di credito, del 20% nel gruppo dei treni ad alta velocità Ntv (Nuovo Trasporto Viaggiatori) di Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle e al ruolo svolto da Passera nel salvataggio di Alitalia, nella Cai guidata da Colannino.

Ruoli dai quali si è liberato (sulla carta) dimettendosi da ad di Intesa SanPaolo. E Mario Monti, interpellato in merito, si è preso la totale responsabilità della scelta: “Il nuovo ministro ha una lunga storia manageriale che include esperienze nel mondo industriale, nei servizi e da ultimo nel mondo bancario; ho considerato la sua storia una importante premessa e promessa di un’attività proficua senza che vi siano nelle sue nuove funzioni possibili intralci legati alla sua attività passata”. Le dimissioni dalla guida dell’istituto di credito costano a Passera la perdita di 3 milioni d’euro annui di compenso più eventuale bonus. In tempi di crisi (anche di valori), scegliere di salvare il Paese (rinunciando al cash) appare un ottimo biglietto da visita.

Non poteva dunque che occupare la poltrona di superministro del governo più tecnico della Repubblica, per la prima volta senza neanche un esponente politico. Passera mette d’accordo tutti, tranne uno: Silvio Berlusconi, che lo annovera tra i nemici. Da quando, nei primi anni 90, Passera da vicepresidente e ad dell’editoriale l’Espresso diede battaglia nella guerra di Segrate sulla Mondadori. Il neoministro aveva 36 anni ma colpiva senza tregua. Storico lo scontro frontale tra i due a un convegno sui “valori della concorrenza” nel marzo 1992. Passera esordì denunciando “l’esistenza di una concorrenzialità gravemente minacciata dalla posizione dominante della Fininvest”. Ci sono due problemi, aggiunse: “Il primo è l’eccesso di pubblicità che non ha riscontri con il resto d’ Europa e quindi un drenaggio di risorse che penalizza la carta stampata; il secondo è l’esistenza e probabile crescita di posizione dominante da parte di un fornitore” , cioè la Finivest, “che controlla quasi il 40 per cento del fatturato pubblicitario complessivo nazionale (20.000 miliardi di lire)”. Berlusconi liquidò il tutto stringendosi tra le spalle e mostrando il suo smagliante sorriso, con una battuta: “Passera dice che è minacciata la concorrenza? Legge troppi fumetti”.

Da allora, tra i due, non c’è mai stato alcun contatto. Berlusconi li ha evitati, Passera non li ha cercati. Ma neanche evitati. Nel 2009, alla guida di Intesa SanPaolo, fu tra i primi ad attaccare l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e la politica fiscale attuata dal governo nei confronti delle banche. “In questi due anni e mezzo (come banca, ndr) abbiamo dato allo stato 16 miliardi”. Si tratta di una “cifra pazzesca”, aggiunse, “è stato sbagliato aumentare il carico fiscale negli ultimi 12 mesi”. Nell’agosto 2010 dal meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, dove da anni è ospite fisso, ha tenuto una dura requisitoria contro “tutta la classe dirigente italiana” che “non risolve i problemi della gente” e “suscita indignazione”. Infine nell’ottobre scorso al seminario di Todi si è scagliato contro l’esecutivo Berlusconi invocando un “nuovo governo forte” che fosse “sostenuto da tutti”. Unica tregua, tra i due, nel 2008: nel periodo del passaggio del testimone tra Prodi e Berlusconi a Palazzo Chigi. Sono i mesi del cosiddetto tentativo di salvataggio di Alitalia e Passera (creditore della società) fa parte della cordata di impreditori-editori soci di Cai, presieduta da Roberto Colaninno e Rocco Sabelli, che acquista la compagnia di bandiera.Una mossa che per il Cavaliere è un favore politico e che finisce per scaricare sulle esangui casse dello Stato i 4 miliardi di debiti della cosiddetta bad company. Sempre  Intesa farà poi felice Berlusconi con una fidejussione da 750 milioni prestata per evitargli da pagare in primo grado il maxi-risarcimento per lo scippo della Mondadori, e con un fido di 400 milioni concesso quando la causa è diventata esecutiva in secondo grado.

Nato a Como il 30 dicembre del 1954, Passera, una laurea alla Bocconi di Milano e un master in Business Administration alla Wharton School di Philadelphia, arriva giovanissimo all’Olivetti chiamato dall’ingegnere Carlo De Benedetti come responsabile della formazione. Dopo un’esperienza in McKinsey (1980-1985), Passera torna a Ivrea dove diventa braccio destro dell’ingegnere, presidente, amministratore delegato e direttore generale della Cir. E’ di quegli anni la sua prima esperienza nel mondo del credito: dal 1988 al 1995 è vice presidente del Credito Romagnolo. Sempre per De Benedetti, Passera sbarca nel mondo dell’ editoria diventando vice presidente e amministratore delegato del Gruppo Espresso-Repubblica. In quelle vesti, come detto, si trova a fronteggiare Berlusconi sul lodo Mondadori. Lascia Ivrea nel 1998 per diventare amministratore delegato dell’Ambroveneto al fianco di Giovanni Bazoli, che per la nuova banca punta su un manager con esperienze nel mondo dell’industria. Quando però va in porto l’acquisto della Cariplo, la scelta di capo azienda cade su Carlo Salvatori.

A 43 anni Passera tenta di mettersi in proprio lanciando un progetto di banca virtuale, ma quell’idea rimane nel cassetto perché proprio in quei giorni arriva la telefonata dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi che, assieme al ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, lo sceglie come l’uomo su cui puntare per risanare le disastrate Poste. Passera si rimbocca le maniche – look per lui abituale, come dimostrano le numerose foto che lo ritraggono informalmente in camicia – e trasforma il monolite romano prima in una Spa e poi, grazie anche al piano di impresa da lui pensato e progettato, in un’azienda pronta a fare utili. Raggiunto il traguardo nel 2002 (con la benedizione del Financial Times che definì le Poste italiane “un’azienda che non è più motivo di imbarazzo nazionale”), Passera parte per una nuova sfida e arriva al comando della più grande banca italiana. Lasciata oggi per la poltrona da superministro chiamato da Monti. Promosso da Passera venerdì scorso, quando Berlusconi era ancora asserragliato a Palazzo Chigi: “Per fortuna abbiamo una persona con la credibilità di Monti e l’impegno di tutti deve essere volto ad assicurare successo al suo tentativo”.

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