Ora che finalmente non ci sarà più B. a metterci in imbarazzo di fronte al mondo intero, sarà Mario Monti a continuare a riproporre le solite, vecchie, obsolete soluzioni per rilanciare l’economia e la “crescita” della stessa. Nessuno mette in discussione le doti e la professionalità del neopremier italiano, ma i poteri forti che ci gestiscono e ci rappresentano probabilmente non prenderanno mai in seria considerazione opzioni e osservazioni come quelle che, per fortuna, stanno comunque trovando asilo in porzioni crescenti della popolazione europea.
Si parla molto di debito pubblico, in questo periodo, facendo credere che sia un problema di cui sia stata sottovalutata la gravità. Non è così. Il debito è il pilastro su cui si fonda la crescita nell’attuale fase storica, ed è indispensabile per continuare a far crescere la produzione di merci. Solo il “doping” del debito ha consentito, finora, di tenere in vita un’economia fondata sulla crescita dei consumi. Infatti, se non si spendesse più di quello che sarebbe consentito dai redditi effettivi, crescerebbero le quantità di merci invendute fino alla crisi di sovrapproduzione che distruggerebbe il sistema fondato sulla crescita. La crescita drogata dal debito, quindi, va fermata perché non è la soluzione della crisi, ma la sua causa.
Per uscire dalla crisi e bloccare la spirale del debito bisogna prendere immediatamente tre decisioni: sospendere tutte le grandi opere pubbliche deliberate in deficit, ridurre drasticamente le spese militari, ridurre drasticamente i costi della politica. Il sistema di potere fondato sull’alleanza strategica tra grandi imprese e partiti politici del secolo scorso non prenderà mai queste decisioni, perché ne verrebbe travolto.
Occorre dunque una nuova leva di politici, o anche di “tecnici”, antropologicamente diversi da quelli che si sono formati nei partiti di destra e di sinistra, ma soprattutto non omologati sul dogma della crescita. Già se ne stanno formando: i loro incubatori sono i movimenti di resistenza contro le grandi opere e contro la privatizzazione dei servizi sociali.
Perché gli stimoli forniti alla ripresa economica attraverso la spesa pubblica non hanno funzionato? Perché nei Paesi industrializzati lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione dei mercati hanno determinato un eccesso di capacità produttiva che cresce di anno in anno: macchinari sempre più potenti producono quantità sempre maggiori di merci riducendo progressivamente l’incidenza di lavoro umano per unità di prodotto. Ne deriva un aumento dell’offerta e una contestuale diminuzione della domanda mediante la diminuzione delle retribuzioni e la riduzione dell’occupazione.
Una voce disastrosa nel debito pubblico è costituita poi dalla crescita delle spese militari. Dopo il tracollo dell’Urss, la dimensione egemonica imperiale degli Usa ha spinto gli alleati verso un impegno crescente in molti teatri di guerra, in regioni strategiche come quelle petrolifere, fino a determinare una situazione che presenta inquietanti analogie con quella che portò alla caduta dell’Impero Romano quando le spese militari per tenere sotto controllo le province cominciarono a superare il valore delle risorse che se ne ricavavano.
Altrettanto rilevanti, nel bilancio del debito, le grandi opere spesso faraoniche e inutili, prima su tutte la linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione. La crisi della Grecia è scaturita anche dalle spese per le Olimpiadi di Atene del 2004, e se Torino è la città più indebitata d’Italia lo deve alle spese in deficit sostenute per le Olimpiadi invernali del 2006. Opere che non ripagano i loro costi perché sovradimensionate rispetto alle reali esigenze.
Mari o Monti fa lo stesso, l’importante è che la politica economica possa iniziare presto a non basarsi più soltanto su criteri di tipo quantitativo, adottando invece criteri di valutazione qualitativi.