“Vi sentite più giornalisti o hacker?”. Joanna Geary, editor per lo sviluppo digitale (digital development editor) del Guardian, lo chiede ai partecipanti dell’incontro londinese di Hacks Hackers, il meetup che riunisce cronisti appassionati di nuove tecnologie e sviluppatori web. Contaminazione e discussione delle nuove frontiere dell’informazione sono l’obiettivo che li fa incontrare una volta al mese in un pub della City. Una birra in mano mentre ascoltano gli interventi, si conoscono e magari decidono di avviare nuove start up.
Nato oltreoceano nel 2009 su iniziativa di Burt Herman, ex corrispondente della Associated Press, Aron Pilhofer del New York Times e Rich Gordon della Medill School of Journalism presso la Northwestern University, Hacks Hackers voleva creare “un network di persone che conciliassero le finalità del giornalismo con l’innovazione della Rete”. Da San Francisco i meetup si sono diffusi a New York, Boston e Austin fino a estendersi in America Latina e in Europa. Per ora solo a Londra, Birmingham e Bruxelles.
“Organizziamo un incontro al mese ma vorremmo farne di più”, spiega Joanna, responsabile della sezione londinese. “Tanti quotidiani, testate di new media e sviluppatori chiedono di entrare in partnership con Hacks Hackers, aperto a chi vuole condividere idee e spunti”. I meetup nella capitale inglese, attraverso il dialogo tra cronisti e informatici, hanno prodotto l’avvio di alcune start up. Complice un clima liberale che unisce creatività e concorrenza. “Londra sta vivendo un momento molto interessante per chi ha progetti per il web”, prosegue. “Abbiamo rinominato la parte est della città ‘Silicon roundabout‘, che riprende la valle californiana dell’innovazione, perché lì sono nate alcune imprese tech di successo.
E anche il governo inglese e l’Europa le stanno sostenendo con numerosi finanziamenti”. Punti di partenza che incoraggiano il desiderio di trasformare la teoria in pratica. “Oltre alle nuove imprese online, alcuni sviluppatori che hanno partecipato a Hacks Hackers sono stati coinvolti in progetti di consulenza, training e web security per giornalisti, anche se la reciproca comprensione tra le due categorie non è sempre facile”. In che senso? “Gli informatici credono che i cronisti siano poco accurati, ma chi vive nel mondo dei media conosce la serietà con cui operano tanti professionisti. Dall’altra parte chi scrive ritiene i tecnici web maghi in grado di risolvere qualsiasi problema con uno schiocco di dita. Ma non capiscono che a volte la soluzione, anche se appare semplice, tecnicamente richiede tempo e fatica”.
Tra gli argomenti di dibattito tra le due categorie, l’uso dei social media è centrale. “Agli incontri attiriamo i fan e non gli scettici e nel mondo dell’informazione stiamo scoprendo il loro ruolo nel giornalismo investigativo”. Al Guardian, ad esempio, è stata cruciale la partecipazione dei lettori per capire la dinamica e chi fosse il responsabile della fine di Ian Tomlinson, l’edicolante morto nel 2009 a Londra durante le proteste del G20. Dalle prime analisi sembrava fosse caduto a terra stroncato da un infarto. Paul Lewis, il cronista che ha seguito il fatto, aveva lanciato su Twitter una discussione intorno al caso, che pareva controverso. Gli hanno risposto 17 testimoni e il giornale è entrato in possesso in esclusiva di un video che documentava il pestaggio da parte di un poliziotto, Simon Harwood. Da lì si sono aperte le indagini e l’agente sarà processato il prossimo giugno. “Paul non conosceva i suoi informatori online”, puntualizza Joanna. “Non gli hanno rovinato la storia. Hanno solo consegnato uno scoop al Guardian”.
Esempi e casi di studio di cui si discute ai meetup e che pongono il mondo dei media davanti al bisogno di confronto con le community di lettori. Ma che nel nostro paese non sono ancora arrivati. “Sarebbe un’ottima idea organizzare Hacks Hackers anche in Italia, magari a Milano”, osserva Joanna. Come fare? “Semplice. Basta scrivere a Burt e seguire le istruzioni sul sito http://hackshackers.com/chapters/meetups/. E poi bisogna cominciare”.