Ne avevo già scritto in un post a maggio. Ma l’idea che la crisi fiscale in Europa si possa risolvere attraverso la monetizzazione del debito pubblico continua ad affascinare una platea variegata di utopisti. E’ un insopprimibile anelito atavico che spinge a confidare nelle soluzioni magiche o sovrannaturali (come testimonia il successo di cartomanti, santoni e religiosi).
Durante i secoli bui ma anche in epoca più recente gli alchimisti bramavano di trasformare metalli vili in oro. Si attribuì per esempio al re ungherese Mattia Corvino (L. Karl, Notice sur une recette alchimique de l’or attribuée au Roi Mathias Corvin, in Archeion, 11, 1929, pp. 206-209) la scoperta della pietra filosofale che gli avrebbe permesso di coniare nel 1470 degli zecchini di eccezionale purezza. Nell’epoca del Grande Fratello e di Voyager (o Kazzenger nella versione leggermente più seria à la Crozza) non vale sbattersi troppo con segreti iniziatici. Il pubblico telelobotomizzato non ha pazienza per le complicazioni. Così la soluzione escogitata è persino più semplice della pietra filosofale. Draghi stampi tanti pezzettini di carta colorata con qualche ologramma e il debito pubblico italiano (o greco, o spagnolo, persino francese) svanisce per incanto.
Ma un tale impeto di genio andrebbe sfruttato a dovere. Se si è trovata la carta moneta filosofale si schiudono orizzonti a dir poco luminosi. Innanzitutto si possono abbassare le tasse, anzi eliminarle del tutto. Fisco monegasco e servizi pubblici scandinavi sarebbero possibili. E’ solo un problema di stampare abbastanza banconote. Anzi, a quel punto non si vede per quale arcano motivo dovremmo lavorare o studiare. Avremmo raggiunto il nirvana. Lo stato potrebbe sussidiare tutti i cittadini che avrebbero facoltà di dedicarsi senza patemi alla vita contemplativa, a parte qualche funzionario della banca centrale e qualche operaio della zecca (che si possono reclutare tra gli stranieri stupidi e arretrati che ancora non hanno scoperto la moneta filosofale).
Cosa succede quando lo Stato paga le spese con carta moneta? Ad alcuni sembra ovvio, al pubblico di Voyager probabilmente sfugge. A costoro vorrei implorare di non credere agli economisti. Basta prendere il gioco del Monopoli e invitare cinque amici per fare due partite in un pomeriggio uggioso. Nel Monopoli le regole dettano l’allocazione iniziale di moneta per ogni giocatore, ad esempio (vado a caso, non ho le regole sottomano) 5 banconote da 1.000 euro (o dollari), 10 banconote da 500 euro, 20 da 100 euro e così via.
Fate la prima partita e registrate i prezzi raggiunti nelle transazioni sui terreni, sulle case e sugli alberghi nelle fasi finali (e quanto tempo si impiega per concludere il gioco). Nella seconda partita raddoppiate la dotazione di moneta di ciascun giocatore, 10 banconote da 1.000 euro, 20 da 500 ecc. (non c’è bisogno di aumentare il prezzo “catastale” degli immobili). Registrate i prezzi raggiunti da terreni e immobili nella seconda partita. A seconda dell’abilità (e della fortuna) dei giocatori la seconda partita sarà più breve e i prezzi nelle aste degli immobili saranno aumentati almeno del 50% e probabilmente di un tasso vicino al 100%.
Se proprio non vi va di giocare tutto un pomeriggio a Monopoli, si può fare un esperimento più rozzo ma più rapido. Complice anche il periodo di feste natalizie si prendano i mazzi di carte per il Mercante in fiera. Anche qui si assegni un capitale di fiche (non fatelo con i soldi veri) uguali ad ogni giocatore nella prima partita e si raddoppi la dotazione di fiche alla seconda. Le quotazioni nelle aste, soprattutto delle ultime carte, aumenteranno in media di circa il 100% ( a seconda dell’abilità del banditore).
Per la cronaca, re Mattia d’Ungheria non aveva trovato la pietra filosofale. Il segreto degli zecchini purissimi con l’effige della Madonna e la scritta “Patrona Hungarie” era una rigorosa riforma fiscale che aveva riportato ordine nelle finanze del regno e permesso di coniare monete senza svilire l’oro per truffare i sudditi. Che in pratica, mutatis mutandis, sarebbe la ricetta propugnata ai giorni nostri da chi invoca acquisti massicci di titoli pubblici da parte della Bce. Se anche re Mattia avesse trovato la pietra filosofale non avrebbe risolto niente. Come sperimentarono gli Spagnoli un paio di decenni dopo, portare galeoni d’oro dall’America produsse solo una forte inflazione.