Il clan Valle-Lampada, insediato da decenni tra Milano e Pavia e già coinvolto in procedimenti per mafia e usura, maneggiava voti e candidature in Lombardia, in Calabria, in Emilia Romagna. Intanto fatturava “tra i 25 e i 50 mila euro al giorno” con circa 350 videopoker installati in un centinaio di bar a Milano e provincia, frodando i Monopoli di Stato e il fisco. Un fiume di soldi investiti, tra l’altro, in progetti immobiliari e nell’acquisto di una dozzina di locali in due anni. Cosa che a nessun altro è mai riuscita, si vanta in un’intrecettazione Francesco Lampada, finito in carcere con il fratello Giulio Giuseppe nell’operazione condotta dalla Squadra mobile di Milano e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, guidata da Ilda Boccassini.
Dalle carte emergono legami di alto livello: due magistrati reggini accusati di passare informazioni riservate sulle indagini, Vincenzo Giglio e Giancarlo Giusti, un avvocato con studio in Calabria e in Lombardia, Vincenzo Minasi, un ufficiale della Finanza di stanza a Milano, Luigi Mongelli. E soprattutto, il legame di ferro con diversi politici locali. Francesco Morelli, consigliere regionale calabrese del Pdl, anche lui arrestato, in grado di aprire tante porte, compresa quella del sindaco di Roma ed ex ministro Gianni Alemanno. E con i milanesi Armando Vagliati e Antonio Oliverio, non indagati ma ampiamente citati nelle carte dell’accusa.
LA POLITICA MILANESE. Giulio Giuseppe Lampada e Leonardo Valle “hanno ostacolato il libero esercizio del voto, in occasione competizioni elettorali, facendo confluire preferenze su candidati a vicini”, si legge nell’odine di custodia cautelare firmato dal gip milanese Giuseppe Gennari. A Milano ne avrebbero beneficiato Antonio Oliverio dell’Udeur, “alle elezioni per il Comune del maggio 2006” (poi sarebbe diventato assessore provinciale nella giunta di centrosinistra guidata da Filippo Penati fino al 2009) e Armando Vagliati, consigliere comunale del Pdl, “nelle elezioni alla provincia di Milano del giugno 2009 e alla Regione Lombardia del marzo 2010”.
Per Vagliati, nome in codice Armandix nelle telefonate intercettate, un’attività politica molto concentrata sul piano parcheggi e sulla difesa degli inquilini abusivi della case popolari, il trio Lampada, Minasi e Morelli organizza cene e iniziative elettorali. Spinge per fargli avere una non precisata “vicepresidenza” a cui si oppone la Lega Nord. Cerca di creare un tandem con l’altro politico milanese citato nelle carte, Oliverio.
In cambio, il politico “costituiva l’elemento di riferimento dei Lampada con il Comune di Milano, per la risoluzione delle diverse problematiche, di ordine amministrativo che potevano interessare questi ultimi”. Vagliati, per esempio, si spende con un emendamento in consiglio comunale per agevolare l’acquisto da parte dei Lampada di un terreno in viale Ripamonti, 1.200 metri quadri agricoli che però, si evince dalle intercettazioni, nelle speranze del clan sarebbero diventati “edificabili”, con un passaggio di valore “da 700 mila euro a due milioni”. L’affare è controverso perché tra i proprietari figura Alberto Bonetti Baroggi, capo di gabinetto dell’allora sindaco Letizia Moratti. Un conflitto d’interessi, segnalato dall’opposizione, che alla fine fa sfumare l’operazione.
Secondo l’accusa, rappresentata dai pm antimafia Ilda Boccassini, Alessandra Dolci e Paolo Storari, Vagliati è consapevole della cartura criminale dei suoi interlocutori, con cui peraltro fa anche affari. Il 29 gennaio 2010 il consigliere comunale si lamenta con il collega di partito calabrese Franco Morelli di non riuscire più a mettersi in contato con Giulio Lampada: “Cazzo veniva qua tutti i giorni … rompeva le balle dalla mattina ala sera”, ma ora “che è il momento clou mi crolla una delle colonne portanti”.
Il motivo della sparizione è spiegato cripticamente da Morelli. Lampada “si è infognato, è in letargo” perché ha saputo di un’indagine in corso contro il clan Valle, dunque si guarda bene dal parlare al telefono. L’indagine è davvero in corso, soltanto che, notano gli investigatori, in quel momento è segretissima, visto che gli arresti contro diversi membri della famiglia Valle scatteranno solo il primo luglio. “Il consigliere apprende che gli stretti parenti di Lampada sono indagati per reati che chiunque poteva comprendere gravissimi (i Valle avevano una lunga e nota storia di usurai e ndranghetisti)”, scrive il gip. “Il consigliere non può non capire che quello che Giulio ha saputo non può e non deve essere di pubblico dominio. E nonostante ciò il consigliere continua a cercare utili contatti con Lampada”.
Anzi, il consigliere comunale milanese s’indigna per l’intrusività della giustizia: “Ma su niente, il bello… il bello e su niente perche, praticamente siamo alla terza generazione … minchia … se prendiamo le colpe anche dei nonni, siamo rovinati … cazzo”. Infatti finiranno in carcere gli esponenti di tre generazioni dei Valle, dal “nonno” Fortunato alla nipote Maria. Morelli è solidale: “Ha ragione il Cavaliere… meno male che Silvio c’è”.
Non ne esce bene la politica milanese. Soprattutto quando Giulio Lampada, registrato in un viaggio in macchina, afferma “per averlo appreso da Armando Vagliati, che per diventare Senatore e/o deputato, bisognava elargire una considerevole somma di danaro”. Ma questo succedeva “anche in Calabria”.
GIOCHI PERICOLOSI CON I MONOPOLI DI STATO. Antonio Oliverio, già finito sotto processo e assolto nel processo Crimine-Infinito sulla ‘ndrangheta in Lombardia, fa la sua parte soprattutto nella vicenda dei videopoker, che getta un’ombra sulla gestione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, l’ente del ministero dell’Economia che gestisce giochi e scommesse. Ai Lampada fanno capo quattro società milanesi che si occupano di videopoker e slot machine da installare nei locali pubblici: Peppone Giochi, Milano Games, Sempione srl e Shassima srl. Secondo gli investigatori, la famiglia è impegnata nello stesso business in Calabria, insieme al potente clan reggino dei Condello. “Nel febbraio 2010, secondo i Monopoli, le macchine” riconducibili ai Valle-Lampada a Milano e provincia “erano divenute 347, collocate in 92 locali”, scrivono gli investigatori. Un business che avrebbe fruttato “dai 25 ai 50 mila euro al giorno”. Un business condotto però in modo illegale: le macchinette, secondo l’accusa, sono truccate in modo da falsare i dati trasmessi per via telematica ai Monopoli di Stato, cui spetta una consistente percentuale dei ricavi fissata per legge.
Non solo. Emergono rapporti opachi con Gamenet, una delle dieci concessionarie autorizzate dai Monopoli a gestire i collegamenti telematici con le macchinette installate e a raccogliere la quota di incassi che spetta allo Stato. Dopo la citata operazione del luglio 2010 contro il clan Valle, molti conti correnti della famiglia vengono bloccati dalla magistratura. I videopoker, però, continuano a macinare utili. Gli investigatori documentano che i Lampada continuano a pagare Gamenet (meno del dovuto, dato che che gli apparecchi sono truccati), ma lo fanno con valigette piene di soldi, completamente in nero.
“In questa quadro”, si legge nell’ordinanza, “abbiamo un concessionario che è perfettamente a conoscenza del fatto che una delle sue controparti – nella specie Francesco Lampada (e relativa famiglia) – è finito arrestato per associazione mafiosa e usura, che è a conoscenza del fatto che i Lampada proseguono a ritirare monetine non loro senza consegnare nulla e che vanta crediti per due milioni di euro”. Una situazione “che avrebbe dovuto portare il concessionario pubblico a presentare una denuncia e interrompere il rapporto con le societa dei Lampada”. E invece viene gestita “con una serie di pagamenti cash per centinaia di migliaia di euro”.
I Valle-Lampada non si accontentano. Mettono in campo un progetto per diventare anche loro concessionari dei Monopoli, in società con il politico calabrese Morelli. A combinare l’appuntamento con un funzionario dell’ente a Roma, Luca Turchi, il 13 novembre 2009, è Mario Valducci, parlamentare del Pdl, intimo di Silvio Berlusconi e tra i padri fondatori di Forza Italia. “Chiamo per l’onorevole Franco Morelli, avevamo un appuntamento oggi fatto dall’onorevole Valducci”, comunica infatti Giulio Lampada al telefono con la segretaria del funzionario.
La presentazione della domanda richiede però una sostanziosa fidejussione che neppure il gettito della macchinette può coprire. Serve perciò un finanziatore, e qui entra in scena Antonio Oliverio. Oliverio presenta a Giulio Lampada un finanziere pugliese con uffici a Lugano, Andrea Pavone. E chi è Andrea Pavone? Attualmente è sotto processo per associazione mafiosa a Milano, nel dibattimento ordinario dell’operazione Crimine-Infinito. E’ il manager inserito dai calabresi nella Perego Strade, azienda brianzola di movimento terra che secondo gli inquirenti è stata “scalata” dalla ‘ndrangheta. E’ la vicenda in cui è rimasto coinvolto lo stesso Olverio, poi assolto nel rito abbreviato.
Il sogno sta per realizzarsi, ma gli arresti del luglio 2010 affossano l’impresa. “Il settore delle scommesse e dei giochi d’azzardo si conferma, ancora una volta, ad altissimo rischio di infiltrazioni mafiose”, scrivono gli inquirenti. Ma in questo caso si è “corso il rischio di vedere a fianco della Snai o altri soggetti simili una banda di mafiosi gestire le scommesse su incarico dello Stato”. E questo “grazie a immancabili personaggi politici compiacenti, che fanno da ponte di collegamento tra la famiglia mafiosa e gli ambienti istituzionali romani”. In questo campo, “la vigilanza si dimostra totalmente assente”.
“ABBIAMO COMPRATO 12 LOCALI IN DUE ANNI”. Il fiume di soldi generato dalle macchinette truccate viene investito anche nell’acquisto di locali pubblici. “Abbiamo avuto i soldi del poker e abbiamo comprato tutti quei bar”, si entusiasma Francesco Lampada in una conversazione intecettata. “Chi li passava tutti questi locali, che avevamo dodici locali, gioia! Onestamente chi è riuscito a comprare dodici locali in due anni a Milano … dai! C’e pure questa cosa!”.
Poi, parlando con la giovane Maria Valle, fa un racconto un po’ confuso ma esemplare di quello che avviene nel backstage dell’economia milanese, al riparo di uffici discreti dove si chiudono facilmente tutti e due gli occhi e ciascuno esce soddisfatto.
Francesco Lampada: “Vedi che “Ungheria” l’abbiamo comprato cinquecento milioni in contanti, eh! … non è che l’abbiamo comprato cosi! … cinquecento milioni dal notaio tutti a carte di cento euro … di cento mila lire… di cento euro, se eravamo in lire non mi ricordo ora”.
Maria Valle: “E perché l’avete fatto in contanti?
Francesco Lampada: “E perché in contanti l’abbiamo voluto comprare, perche quello lì voleva di più, e allora ci siamo aggiustati. ‘Se te lo paghiamo tutto in contanti quanto vuoi?’. ‘Cinquecento milioni!’, siccome allora ci entravano tutti questi soldi dalle macchinette, cinquecento milioni glieli abbiamo portati tutti nella valigetta in contanti dal notaio, quello se ne è venuto con la macchinetta dei soldi per contare i soldi”.
ESCORT PER IL GIUDICE. I contatti altolocati sono coltivati con tutti i mezzi, comprese ragazze disponibili. Le carte citano la vicenda di Giancarlo Giusti, giudice al tribunale civile di Palmi, indagato. Gli investigatori registrano 16 viaggi a Milano a spese dei Lampada: 3.162 euro in biglietti aerei e ben 54 mila per i soggiorni in hotel di lusso. Impossibili da contabilizzare i costi relativi alle escort, provenienti dai paesi dell’Est, che secondo l’accusa il clan forniva al magistrato in queste occasioni.
E’ il medico Vincenzo Giglio a introdurre magistrati nel giro del clan: il suo cugino e omonimo Vincenzo Giglio, del tribunale di Reggio Calabria, e lo stesso Giusti. Gli investigatori registrano una lunga serie di conversazioni e incontri riservati tra Giusti e Giulio Lampada. Il suo contributo avrebbe riguardato anche la partecipazione delle aziende dei Valle-Lampada alle aste immobiliari giudiziarie. L’estrema confidenza tra soggetti che dovrebbero stare su fronti opposti – Giusti si era esposto pubblicamente sui temi dell’antimafia – è dimostrata tra l’altro da una telefonata intercettata. Il magistrato si rivolge così all’imprenditore del clan: “Tu ancora non hai capito chi sono io … sono una tomba, peggio di … ma io dovevo fare il mafioso, non il giudice”.
di Davide Milosa e Mario Portanova
Articolo modificato dalla redazione web alle 11.01 del primo dicembre 2011
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA PRECISAZIONE DELL’ONOREVOLE MARIO VALDUCCI
In merito agli articoli a firma di Davide Milosa e Mario Portanova pubblicati sul Fatto Quotidiano di oggi 1 dicembre 2011 e sul sito www.ilfattoquotidiano.it , tengo a precisare che non conosco nessuno dei soggetti citati. Da ciò appare evidente come non possa essere stato destinatario di nessuna richiesta di appuntamento. Peraltro, non avendo mai svolto alcuna attività con i Monopoli di Stato non conosco nessun dirigente o funzionario di queste strutture. Pertanto sono assolutamente estraneo a ogni possibile fatto che mi si voglia addebitare in merito agli argomenti in oggetto. Infine, conosco sì Silvio Berlusconi da molti anni e ho condiviso con lui momenti della sua vita professionale e privata, ma non la sua infanzia, come scritto nella versione on line, dato che lui ha 23 (ventitre!) anni più di me.
On. Mario Valducci
Prendiamo atto della precisazione, ma non abbiamo scritto che l’on.le Valducci conoscesse i protagonisti della vicenda (né che sia amico “d’infanzia” di Berlusconi). Per completezza di cronaca, riportiamo i brani dell’ordinanza firmata dal gip Gennari sull’argomento.
LAMP ADA G.: … chiamo per l’On.le Franco Morelli, avevamo un appuntamento oggi fatto dall’On.le Valducci.
Donna: sì
LAMPADAG.: eh, cortesemente stiamo per arrivare … siamo un poco in ritardo (…)
Donna: … ehm si mi scusi, mi ripete il nome? cosi avviso subito il dottore
LAMPADAG.: . .l’Onorevole Valducci !!
Donna: Valducci sì
LAMPADAG.: ha preso un appuntamento per l’onorevole Franco Morelli.
Donna: si.. .. e a che ora era l’appuntamento?
LAMPADAG.: aile 11.15 … siamo un po’ in ritardo ….
Donna: va bene, avverto subito il dottore