E’ una mattina di corse, di colazioni e di vestizioni come le altre, quella in cui uno dei miei figli, il più piccolo, quattro anni e mezzo, decide che oggi tocca a lui fare i capricci: uscirà con due scarpe diverse ai piedi, a sinistra una scarpa da ginnastica bianca, a destra uno scarponcino invernale blu. A nulla valgono gli strilli della mamma e le minacce del papà, che sarei io, che mi arrendo e lo porto via così, per evitare che gli altri due facciano tardi. Usciamo. Andiamo con due scarpe diverse ai piedi a fare i cinquecento passi che ci separano dalla scuola, sperando di incontrare il minor numero possibile di persone che ci guarderebbero chiedendosi perché, scuotendo la testa dinanzi alla debolezza di un padre .
E’ una mattina come questa quella in cui, accompagnati i miei figli a scuola, prima di prendere la Metro che mi porterà a fare la prima lezione del nuovo corso del Centro Sperimentale di Cinematografia, vado all’edicola e scopro che Lucio Magri è morto, per sua libera scelta, in Svizzera. Non è una notizia che può passare senza lasciare un segno: sono diventato comunista a diciotto anni grazie a Lucio Magri, che non vedo da trent’anni ma che mi è rimasto orgogliosamente dentro sempre. Quando lo incontrai fisicamente per la prima volta avevo venti anni. Era stato invitato dal mio professore Alberto Asor Rosa a un incontro nell’aula magna di Lettere all’università di Roma. Era una mattina turbolenta, si minacciava un’occupazione. Mi avvicinai al mio professore e gli chiesi se aveva senso entrare in aula. Asor Rosa sorrise, mi mise una mano sulla spalla e mi disse: “Ha sempre senso ascoltare Asor Rosa. E anche Lucio Magri”. Quella mattina Lucio Magri ci parlò della potenza di essere giovani e della necessità di essere trasgressivi per inseguire l’uguaglianza, la libertà, la felicità.
E’ una mattina come questa quella in cui vorrei avere la lucidità e l’incantevole carisma di Lucio Magri di quella mattina di tanti anni fa all’università, nel mio primo approccio con i nuovi allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia. Invece faccio una ordinaria prima lezione, come sempre tendenziosa, in cui parlo sì di libertà e di felicità, anche di trasgressione, ma il tutto questa mattina, ricordando Lucio Magri, mi sembra in maniera rozza e approssimativa.
E’ una mattina come questa quella in cui vorrei non essere costretto a farla questa lezione, ma preferirei sdraiarmi su un prato a guardare il cielo e a pensare a Lucio Magri. E invece la faccio e finita la lezione mi rimetto in Metro e vado a incontrare persone che si ostinano a voler fare dei film e vado a programmare guerriglie distributive e vado a vedere uno dei miei figli giocare a pallone.
Poi a fine giornata tolgo le scarpe, una bianca e una blu, a Davide, mio figlio, quello più piccolo.
Domani ci mettiamo due scarpe blu. Uguali.
“E io non vado a scuola… e non ti sono più amore!”