Oggi pomeriggio il consiglio d’amministrazione della Finmeccanica manderà a casa il presidente indagato Pier Francesco Guarguaglini. Per prendere il suo posto sono in corsa, secondo le voci delle ultime ore, due consiglieri d’amministrazione (l’ex numero uno di Fiat Auto Paolo Cantarella e l’ex capo di Stato maggiore della difesa Guido Venturoni) e il direttore generale Alessandro Pansa, figlio del noto giornalista Giampaolo. Ma la vera partita in corso riguarda la sorte dell’amministratore delegato Giuseppe Orsi, da tempo in guerra con Guarguaglini. Tutti gli uomini del presidente sono impegnati nel tentativo di trascinarlo con sè nella disgrazia. Ieri su la Repubblica è comparsa una lunga intervista al braccio destro di Guarguaglini, Lorenzo Borgogni, implicato nello scandalo tangenti al punto da aver sfiorato l’arresto. Borgogni, in modo solo apparentemente casuale, racconta una serie di fatterelli che riportano alla responsabilità diretta o indiretta di Orsi.
Prima difende Guarguaglini ricordando che “finché c’è stato lui come amministratore ha cercato di limitare le ingerenze della politica”. Poi gli viene in mente che il figlio del senatore Pd Nicola Latorre è stato assunto nella controllata Agusta Westland quando c’era Orsi alla guida. Il padre ha negato di aver mosso un dito: “Non ho mai segnalato il nominativo di mio figlio né al signor Borgogni, né al dottor Guarguaglini, né al dottor Orsi – ha detto ieri Latorre – Il percorso professionale di mio figlio non ha niente a che vedere con nomine in aziende pubbliche o con interferenze politiche, metodi che ho sempre combattuto”. Borgogni ha anche fatto presente che è stato assunto anche il fratello del leghista Giancarlo Giorgetti e che sono stati fatti favori al capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni. In particolare l’Agusta Westland avrebbe preso in affitto dei capannoni presso l’aeroporto della Malpensa (in agro varesino) pagando un affitto di 5 milioni all’anno. Reguzzoni ha annunciato che querelerà Borgogni. E non dimentichiamo che secondo Borgogni è stata assunta anche la figlia di Massimo Ponzellini, bolognese che recentemente si è ricordato di essere nato a Varese, banchiere prima prodiano poi tremontian-leghista. La Lega è stata il principale sponsor di Orsi, alla guida operativa di Finmeccanica dalla scorsa primavera. Se Orsi saltasse, dall’operazione piazza pulita potrebbe emergere come nuovo capo Vito Gamberale, ex direttore generale Telecom Italia, attualmente alla finanziaria F2i.
Ma perché Guarguaglini vende così cara la pelle, preferendo l’ignominiosa cacciata alle dimissioni spontanee? Per la semplice ragione che il suo contratto non prevede alcuna buonuscita in caso di dimissioni, mentre se viene messo alla porta dall’azionista (il governo) ha diritto a tre annualità di retribuzione più altre tre per il cosiddetto patto di non concorrenza. Nel 2010 Guarguaglini ha guadagnato 2, 7 milioni di euro (non male, cento anni di stipendio di un impiegato medio), ma era anche amministratore delegato. Non si sa se solo come presidente guadagni meno, perché si rifiuta di dirlo. Il che fa supporre che non prenda molto meno. Ipotizzando che la sua retribuzione sia calata a soli due milioni, potrebbe chiedere una buonuscita di 12 milioni, pari a 480 anni di stipendio di un impiegato medio. Il governo Monti, che è sobrio, lo è abbastanza da aver trattato nelle ultime ore per chiedere al presidente indagato lo sconto. Secondo l’agenzia Radiocor si sarebbe raggiunto un accordo sulla base di soli 5 milioni, pari a 200 anni di stipendio di un impiegato medio. Ci sarebbe una strada per risparmiare di più, licenziando Guarguaglini per giusta causa: basterebbe imputargli quello che lui stesso rivendica, cioè che, mentre i suoi manager di fiducia facevano della Finmeccanica la Mecca della tangente, l’esperto manager – pagato per controllare – non si è accorto di nulla. Ma un licenziamento per giusta causa non sembra nelle corde di un governo dallo stile sobrio.
Così oggi Guarguaglini esce di scena con ricca liquidazione. A ruota dovrebbero seguirlo sua moglie Marina Grossi, indagata per corruzione, ancora amministratore delegato della Selex Sistemi Integrati, la controllata epicentro dello scandalo. E poi Borgogni, il capo delle relazioni esterne che ha ammesso davanti ai magistrati di aver intascato 5,6 milioni da società fornitrici della Finmeccanica, e adesso sostiene che si trattava di consulenze, “rapporti tra privati, niente che abbia a vedere con un’ipotesi di corruzione”. Nemmeno per lui è stato ancora ipotizzato il licenziamento, e quindi si prospetta un’altra sontuosa liquidazione. Che il governo Monti, sobriamente, pagherà.
da Il Fatto Quotidiano dell’1 dicembre 2011