L’interminabile saga Dsk non si è ancora esaurita. Le ultime tappe dello squallido tormentone (ieri la pubblicazione di un libro in Francia, lo scorso fine settimana quella di un’inchiesta sulla New York Review of Books) rilanciano la teoria del complotto. Dominique Strauss-Kahn, in realtà sarebbe una vittima. La donna africana inserviente del Sofitel, che l’accusa di averla stuprata, sarebbe stata pagata per attirare in una trappola il direttore generale del Fondo monetario internazionale. L’obiettivo, far scoppiare uno scandalo e impedire così al socialista, idolatrato da una certa intelligentsia di sinistra parigina, di presentarsi alle prossime presidenziali contro Sarkozy. Negli ultimi scoop si accenna anche all’intervento di un’autorità “superiore” sul procuratore di New York, per convincerlo a non mettere fuori Dsk dietro cauzione. Forse lo stesso Eliseo.
Quella del complotto è una vecchia storia. Fin dagli inizi le reti altolocate parigine (la gauche caviar: i radical chic locali; gli ex trotskisti, in Francia una vera potenza, anche nel settore economico; la massoneria; molti intellettuali ebrei), più vicini a Strauss-Kahn, iniziarono un tam tam in questo senso. Me lo sono sentito dire anche direttamente: “E’ un complotto”, “E’ colpa di Sarkozy”. Povero Dominique, lui che è così bravo, sa di economia. E’ preparato con la p maiuscola.
Intanto fra i giornalisti e tra i bene informati di ogni tipo, da anni, tutti conoscevano la vera storia di Dsk. Quella privata, almeno. Mi ricordo un vertice di ministri finanziari del G7 a Tokyo nel lontano 2000. Per la Francia c’era proprio lui, con una collaboratrice, vistosissima, uno spacco della gonna non sul lato, ma davanti, che mostrava le gambe ogni volta che si sedeva nella poltrona di un grande albergo, dove la riunione si teneva. Fra i rossori dei giapponesi astanti.
Ricordo anche di colleghe francesi che per anni mi hanno parlato di avances, di corrispondenti ai quali l’équipe del nostro chiedeva “dove si poteva uscire la sera” (in realtà la domanda era molto più triviale). Certi colleghi, a Parigi, mi indicarono il club di échangisme (scambismo) suppostamente da lui frequentato, dietro la Borsa. Tutto questo veniva presentato tra il serio e il faceto, con una nonchalance assoluta, mostrato da esponenti della sinistra pura e dura come prova di una liberazione dei sensi e dei sessi, di una modernità spicciola, di un postfemminismo, che forse io, italiano, puntualmente arretrato e bacchettone, non potevo capire.
Credo che il complotto sia un’opzione possibile. Credo che Dsk non sia una vittima, da nessun punto di vista. Credo che sia meglio che non diventi mai presidente della Repubblica francese.