Rigore, equità e crescita sono i tre principi che Mario Monti ha indicato quali pilastri per le scelte di politica economica. Nella manovra varata dal suo governo c’è molto rigore, forse troppo. Poca equità. E soprattutto pochissima crescita. Il tempo a disposizione era limitato. Ma proprio perché siamo in condizioni di emergenza si poteva e si doveva fare di più. C’è comunque un miglioramento rispetto alle manovre estive, in particolare in materia previdenziale, deindicizzazione a parte, e nello spostare la tassazione dal lavoro ai patrimoni. Davvero molto, però, resta ancora da fare.

di Tito Boeri* e Fausto Panunzi** (Fonte: lavoce.info)

Rigore, equità e crescita erano i tre principi che Mario Monti aveva indicato quali pilastri su cui basare le scelte di politica economica. Nella manovra varata dal suo governo c’è molto rigore, forse troppo. Poca equità. E soprattutto pochissima crescita. Il tempo a disposizione era davvero limitato. Ma non si doveva perdere questa opportunità per varare almeno una delle riforme che il nostro Paese attende da anni.

Rigore e qualità della manovra

L’aggiustamento sarà di 20 miliardi, che si aggiungono ai 60 delle manovre estive. Nelle intenzioni del Governo dovrebbero essere sufficienti per portare al pareggio di bilancio nel 2013 incorporando valutazioni più realistiche sull’andamento della nostra economia nei prossimi due anni. Il viceministro Grilli nella conferenza stampa ha detto che il pareggio di bilancio verrà raggiunto con questa manovra in presenza di una contrazione del Pil dello 0,5 per cento nel 2012 e di una stagnazione nel 2013, in linea con le previsioni dell’Ocse. Ma le previsioni dell’Ocse ovviamente non contemplavano questa manovra. Quindi il pareggio di bilancio verrà raggiunto solo se la manovra non avrà effetti recessivi, sulla qual cosa è legittimo nutrire non pochi dubbi: quasi un punto e mezzo di Pil, raccolto soprattutto con tasse più alte, non è cosa da poco. Viene da domandarsi se era utile immolarsi sul pareggio di bilancio nel 2013, che l’Europa non ci ha mai chiesto, e non valesse invece la pena di puntare su tagli alla spesa che avrebbero avuto effetti più diluiti nel tempo, ma più consistenti di quelli previsti e mirati ad accrescere il potenziale di crescita della nostra economia, in linea con quanto i mercati ci chiedono da tempo e, soprattutto, quanto sarebbe giusto fare. Il problema della crisi europea, infatti, è che l’impossibilità politica di attuare trasferimenti tra stati sta forzando i paesi del Sud-Europa, Italia compresa, ad adottare politiche fiscali eccessivamente restrittive nell’immediato, invece di puntare su risanamenti più ambiziosi (e virtuosi sul piano della performance dell’economia) da conseguire nei prossimi cinque anni.

C’è la stretta sulle pensioni di anzianità, lo scoglio su cui si era incagliato il governo Berlusconi. Ma non c’è il loro superamento (se non a parole, dato che d’ora in poi le pensioni d’anzianità verranno chiamate “pensioni anticipate”) e inglobamento nelle pensioni di vecchiaia con gli aggiustamenti attuariali (circa il 4 per cento in più per ogni anno di lavoro aggiuntivo su tutta la pensione, non solo la parte contributiva come proposto a suo tempo su questo sito) contemplati dal metodo in vigore per i più giovani dal 1996. Lodevole il tentativo di permettere una certa flessibilità sulla scelta di quando prendere la pensione di vecchiaia, anche se la griglia di età soprattutto per gli uomini è davvero ridotta all’osso (66 – 70 anni), e l’abbandono del sistema assai poco trasparente delle finestre mobili. Bene dire chiaramente agli italiani a quale età potranno andare in pensione anziché ricorrere al trucchetto di mantenere l’età ufficiale di pensionamento fino a un anno e mezzo prima di quando potranno davvero fruire della pensione. Non sarà, quindi, l’ultima riforma delle pensioni.

Per quello che riguarda la qualità dei provvedimenti, la manovra è, una volta di più, fortemente squilibrata sul lato delle entrate: quasi due terzi dell’aggiustamento lordo sono legati a nuove tasse o a inasprimenti di quelle già esistenti. I tagli alle spese sono in parte non piccola una tantum, come ad esempio i risparmi derivanti dalla sospensione dell’indicizzazione delle pensioni al di sopra del minimo. Il peso delle entrate nella manovra è rafforzato dal fatto che la “clausola di salvaguardia”, quella che nel 2012 deve permettere di raccogliere 4 miliardi in caso di mancata riforma fiscale, si applicherà innalzando l’Iva anziché procedendo a tagli di spesa come previsto sin qui. A proposito: la manovra non chiarisce ancora come verranno reperiti i 20 miliardi a regime lasciati in sospeso dal governo precedente. Tutte queste scelte sembrano figlie ancora una volta della fretta di ottenere il pareggio nel 2013 oltre che dell’incapacità di intervenire in modo più incisivo sulle pensioni di anzianità e su altri capitoli di spesa, a partire dai compensi dei pubblici dipendenti, che dovrebbero essere indicizzati al costo della vita nelle diverse Regioni (il che eviterebbe anche di “spiazzare” i datori di lavoro privati nel Mezzogiorno, dove i salari reali dei dipendenti pubblici sono più alti).

Equità

Questo sembra essere il vero punto dolente della manovra. Pochissimo si è fatto sull’evasione fiscale. Si è ridotta la soglia della tracciabilità della transazioni a mille euro e poco altro. I tagli ai costi della politica sono minimi. Certo si dà il buon esempio, partendo dai gradini più alti. Ma perché non ridurre le dotazioni di Camera e Senato, forzandoli a tagliare i compensi poco trasparenti offerti esentasse ai parlamentari? E perché non sciogliere i consigli provinciali anziché solo le giunte? Al posto del balzello sui conti correnti e conti di deposito, che rischia di spingere ancora di più gli italiani a tenere i loro risparmi fuori dal sistema finanziario, non sarebbe stata più equa una mini-patrimoniale ordinaria con una aliquota bassa, ma una base più allargata?

Ma l’aspetto peggiore della manovra in termini di equità è la sospensione dell’indicizzazione per le pensioni al di sopra del minimo (con parziali eccezioni fino a due volte il minimo). È un provvedimento iniquo perché colpisce anche persone che non sono più in grado di generare redditi per compensare il taglio dei trasferimenti. La situazione di emergenza del paese può richiedere scelte così dolorose, testimoniate dalle lacrime del ministro Fornero. Ma se si sceglie di intervenire sui trattamenti in essere, bisogna farlo bene. Le misure introdotte dal governo sono del tutto arbitrarie. Inoltre, creano una constituency contro la crescita dato che tassi di crescita più elevati spesso si accompagnano a più alti tassi di inflazione. Sarebbe, invece, al tempo stesso più equo e più utile nel favorire un cambiamento, indicizzare le pensioni più ricche alla crescita economica, così come avviene in Svezia. Un intervento che permetterebbe di ottenere risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica. Ma ancor più importante determinerebbe una compartecipazione dei pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia.

C’è infine il provvedimento che stabilisce un contributo aggiuntivo per chi ha beneficiato dello scudo fiscale, che interviene retroattivamente e viola un impegno sottoscritto dal governo con chi ha partecipato allo scudo oltre che essere di problematica attuazione. Certo lo scudo era un regalo agli evasori, come rimarcato più volte su questo sito. Ma l’intervento corrompe profondamente la certezza del diritto. Si paga un prezzo di credibilità molto alto per raccattare poco (perché chiedere solo l’1,5%?). Inoltre il provvedimento è di difficile attuazione dato che molti scudati hanno utilizzato società di comodo.

Crescita

Di provvedimenti per la crescita non c’è molto di più della deducibilità dell’Irap sul lavoro in linea con le misure già varate a suo tempo dal governo Prodi. Alla luce di quella esperienza, c’è solo da sperare nel miracolo.Il fatto è che l’Irap ha effetti indiretti sul costo del lavoro. Meglio sarebbe stato tagliare i contributi sociali. Il rifinanziamento dei Confidi per le piccole imprese non affronta il nodo centrale: quel fondo non è riuscito sin qui a contrastare la stretta creditizia decisa dalle banche. Perché dovrebbe riuscirci ora? Speravamo nella creatività del nuovo ministro dello Sviluppo, che certamente di queste cose si intende. Davvero poche le liberalizzazioni, circoscritte praticamente solo alle farmacie. Non c’è la riforma degli ordini professionali, rimandati (“di poche settimane”) i provvedimenti sul lavoro. Vedremo. Certo che se fossero stati inseriti nel decreto, avrebbero avuto un iter molto più rapido, adatto all’emergenza.

In sintesi, proprio perché siamo in condizioni di emergenza si poteva e si doveva fare di più. C’è comunque un miglioramento rispetto alle manovre estive soprattutto in materia previdenziale, deindicizzazione a parte, e nello spostare la tassazione dal lavoro ai patrimoni. Ma molto, davvero molto, resta ancora da fare. Noi continueremo a dare il nostro contributo costruttivo unendo come sempre alle critiche le proposte alternative.

*Tito Boeri – Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Economia Bocconi, dove ha progettato e diretto il primo corso di laurea interamente in lingua inglese. E’ Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi e articoli possono essere letti su www.igier.uni-bocconi.it.

**Fausto Panunzi – Ha conseguito il PhD presso il Massachusetts Institute of Technology. Attualmente insegna Economia Politica presso l’Università Bocconi. In precedenza ha insegnato presso l’Università di Bologna, l’Università di Pavia, Lecturer all’University College London, Research Fellow presso IDEI (Toulouse ) e IGIER. Le sue aree di interesse scientifico sono la Teoria dell’impresa, finanza d’impresa e Teoria dei contratti.

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