La scheda, scarna, pubblicata sul sito del ministero dell’Interno riferisce che Michele Zagaria “è ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, rapina e altro”. E che l‘8 febbraio 2000 “sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali”. Lo cercavano ovunque. E da allora Michele ‘capastorta’ da Casapesenna, nel cuore di Gomorra, è scalato in cima a tutte le classifiche dei latitanti più pericolosi d’Italia, diventandone il numero uno dopo la cattura di Bernardo Provenzano. Nel frattempo ha accumulato condanne definitive – tra cui l’ergastolo nel processo Spartacus – e immense ricchezze, distribuite e reinvestite attraverso una serie di prestanome e di imprese edili colluse e compiacenti, se non addirittura dirette emanazioni del clan dei Casalesi. Imprese che operavano nel casertano e in altre regioni. Principalmente in Emilia Romagna, ma anche nel Lazio, in Toscana, in Umbria, in Abruzzo e in Lombardia.
La Dda di Napoli lo ha indicato come il re del cemento mafioso in Italia. La Dda di Bologna ha studiato e perseguito le sue ditte che erano diventate egemoni in tutto il territorio modenese. Capacità imprenditoriale sopraffine, quelle del boss del casertano. Per lui è stato coniata la dicitura ‘sistema Zagaria’. Inteso come infiltrazione criminale nell’economia legale e negli appalti, pubblici e privati. Movimento terra, gestione degli inerti, noleggio di attrezzature e macchinari, ciclo del calcestruzzo. Zagaria – ha scritto nel 2006 Roberto Saviano – non aveva rivali quando veniva applicato “il perverso meccanismo del massimo ribasso degli appalti edili”. Fornendo materiale scadente e lucrando sui subappalti e sulle assunzioni in nero.
Zagaria, da latitante, seguiva personalmente i suoi affari, muovendosi liberamente da un punto all’altro del paese, con qualche puntatina all’estero, grazie a documenti falsi e a una serie di accorgimenti e protezioni, utilizzando criptatori per telefonini che impediscono di individuare il numero chiamato o deformano le voci sino a renderle irriconoscibili. La Guardia di Finanza di Modena riuscì però a intercettarlo durante un viaggio in treno tra Modena e Napoli. Scherzava al telefono sul suo soprannome: meglio “cuoll stuort” (collo storto), uno dei suoi numerosi nomignoli, che non ‘capastorta’, il soprannome rimastogli addosso dai tempi della gioventù.
L’imprenditore Zagaria ha sempre pensato che era meglio mantenere un basso profilo nella sua terra d’origine. I guadagni, enormi, della droga e del racket andavano impiegati cercando sbocchi nelle zone ricche del paese e anche all’estero, in Spagna, in Francia e in Portogallo. Oppure investendo in borsa e sui mercati finanziari. E agli affari e al crimine ha dedicato per intero la sua vita. Rinunciando a crearsi una famiglia perché, sostiene sempre Saviano in un suo vecchio articolo, ha visto che il suo predecessore alla guida dei clan, Francesco ‘Sandokan’ Schiavone, ha avuto il suo punto debole “proprio nella famiglia con cui voleva continuare a vivere”. Dunque, nessun legame serio. Solo avventure brevi.
L’ascesa di Zagaria avviene con lo sgretolarsi dei vecchi equilibri di potere camorrista. Il clan dei Casalesi nacque con Antonio Bardellino, boss “di parola e di onore” che rifiutò di obbedire alla “commissione” che gli voleva imporre di uccidere il pentito Tommaso Buscetta: “Gli avete sterminato tutta la famiglia – spiegò – che volete che facesse?”. Secondo gli investigatori, quella risposta gli costò la vita: Bardellino sarebbe stato ucciso da Mario Iovine e il suo corpo non venne mai ritrovato. E da allora si scatenò una guerra. I Vastarella furono fatti ammazzare e sciogliere nell’acido da Giovanni Brusca. Fu ucciso anche il nipote, Paride Salzillo. Carmine Schiavone, temendo per la propria vita, si pentì, e la guida del clan fu conquistata da Francesco Bidognetti (‘Cicciotto ‘e mezzanotte) e Francesco Schiavone ‘Sandokan’. Fu Sandokan a introdurre Zagaria nel crimine organizzato. Il suo primo compito: fare da autista al boss Ammaturo. Con il declino e le catture di Bidognetti e Schiavone (quest’ultimo preso nel 1996) sono emersi i ‘giovani’ Antonio Iovine ‘o ninno’ e Michele Zagaria. Iovine è stato catturato tredici mesi fa e rideva di fronte ai fotografi appostati sotto la Questura di Napoli. La latitanza di Zagaria è invece durata fino a poche ore fa. Era nella ‘sua’ Casapesenna. In fondo, mentre i suoi capitali facevano il giro del mondo, lui non si era mai mosso da lì.