Con oltre undicimila esercizi e quasi settantamila lavoratori, la ristorazione è una delle principali attività economiche di Parigi. Non c’è dubbio che la cucina tipica d’Oltralpe, recentemente elevata dall’Unesco al rango di Patrimonio Mondiale dell’umanità, faccia la parte del leone, ma non mancano di certo le alternative più esotiche per soddisfare i palati di ogni tipo. Eh sì, perché ai parigini, per i quali andare a cena fuori è una sorta di rito settimanale, si aggiungono i turisti, che affollano la città – e i locali – tutto l’anno.
A decidere della sopravvivenza di un nuovo ristorante possono bastare pochi mesi: non è un caso che in città sia scoppiata la moda delle prenotazioni on-line e dei buoni sconto acquistati su internet. Siti come Groupon, Kgbdeals, Lookingo, ma soprattutto il famosissimo La Fourchette, sono ormai diffusissimi e arrivano a offrire riduzioni fino al 50%. Se da un lato questi siti possono essere l’unica soluzione per farsi conoscere, dall’altro l’investimento nella pubblicità on-line rischia di essere effimero. Superato l’effetto novità, infatti, il ristorante deve comunque vedersela con la concorrenza.
Ecco perché moltissimi gestori preferiscono fare alla vecchia maniera. Piccoli, piccolissimi, anzi minuscoli, i ristoranti più tipici di Parigi sanno resistere al richiamo del web e vanno avanti con i propri aficionados. In una città dove la forma è tutto, e dove essere branché o à la mode è un imperativo categorico, il micro-restò, con i suoi pochi coperti, è sinonimo di esclusività. A confermare questa impressione è Marika, proprietaria di un piccolo ristorante italiano, L’Osteria dell’Anima. Da quando, nel 2004, lei e il suo compagno hanno aperto l’attività, sono riusciti a conquistarsi una propria clientela parigina anche grazie ai pochi caratteristici metri quadrati di cucina italiana tradizionale. Se a questo si aggiunge un’atmosfera intima ed esclusiva il successo è garantito. Per trovare un posto bisogna prenotare: i 27 coperti si esauriscono rapidamente.
Zoubir non è il proprietario de La Bodega, ma è come se lo fosse. Il locale dove lavora è minuscolo. «Quanti clienti ci stanno qui dentro? Da un minimo di nove a un massimo di quindici, se li conosco!». Nemmeno lui si affida troppo a internet; preferisce il passaparola dei fedelissimi. Qui, nonostante il ristorante sia così piccolo, non si accettano prenotazioni: «Non abbiamo bisogno di farci pubblicità – mi dice Zoubir – Non è un problema riempire la sala. Conosci un locale più piccolo di questo?».
Le Refuge des Fondus, invece, è uno degli storici ristoranti di Montmartre. Dal 1966 ad oggi, la taverna non ha mai avuto problemi di clientela. Anche perché non è certo difficile riempire i due tavolacci che costeggiano le mura del “rifugio”. Alla suggestiva atmosfera retrò si unisce la specialità della casa, la fonduta. Gli avventori sono pronti a fare di tutto per guadagnarsi un posto a sedere. «Prenotazioni on-line? No grazie. I nostri clienti, se vogliono mangiare da noi, ci chiamano». David, il proprietario, ha capito come in realtà non siano né il marketing on-line, né altri espedienti commericiali a decretare il successo di un ristorante: per sopravvivere bisogna conquistarsi una mini-nicchia di clienti fissi e il pienone è assicurato.
Questa logica viene portata all’estremo dalla Petite Cuisine, dove Rachel Khoo, cuoca-scrittrice inglese che vive in Francia da anni, tutti i giorni trasforma la sua cucina casalinga in un mini-ristorante da due coperti. Missione compiuta: tutto esaurito e clienti disposti a rimanere in lista d’attesa per mesi pur di cenare nel più esclusivo dei mini-restò di Parigi.
di Giacomo Rosso
Foto di Davide-Riccardo Weber