Il taglio degli stipendi dei parlamentari? Di certo non sarà contenuto nella manovra e finirà per essere rimandato “di qualche mese”. La commissione Bilancio, infatti, si avvia a varare un emendamento per modificare la norma in cui il governo si arrogava la possibilità di ricorrere per decreto al taglio delle indennità, nel caso in cui la commissione guidata dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, non arrivi a depositare il previsto studio di comparazione entro fine anno.
La norma incriminata è quella contenuta nell’articolo 23 della manovra, comma 7: “Ove alla data del 31 dicembre 2011 la Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia […] non abbia provveduto alla ricognizione e alla individuazione della media dei trattamenti economici […] il Governo provvederà con apposito provvedimento d’urgenza”. Tradotto: se la commissione Giovannini non farà in fretta, il taglio lo farà il governo. Un taglio per giunta parecchio pesante, stando alla bozza stesa dai questori del Senato che agganciando l’indennità parlamentare agli stipendi europei avrebbe significato una decurtazione di 5mila euro circa, dagli 11mila e 700 attuali ai 5500/6000 del resto d’Europa.
Ma la cura dimagrante per ora non ci sarà, meglio non smuovere troppo le acque già mosse tra governo e maggioranza. E così, a chi gli chiedeva se l’emendamento salva-tagli ci sarà, il relatore del Pd Pier Paolo Baretta ha risposto: “Vedremo, potrebbe essere nostro o del governo – ha aggiunto – ma il punto fondamentale è che la Commissione Giovannini deve finire il suo lavoro ed è il Parlamento che dovrà recepirne i risultati. Non deve essere il governo a decidere per decreto”.
Tutti d’accordo, insomma. Come a dire che le camere, come ripetuto anche dal vice-capogruppo del Pdl a Montecitorio, Massimo Corsaro, invocano la sovranità nella scelta – le retribuzioni dei parlamentari sono disposte con il regolamento da ciascun ramo – e chiedono all’esecutivo di non intervenire direttamente. Piuttosto di fissare dei tempi entro cui il parlamento dovrà deliberare sulla materia. Del resto, anche Corsaro ha ricordato la sovrapposizione tra il taglio d’imperio annunciato dal governo e il parere della Commissione Giovannini, istituita dal governo Berlusconi proprio con il compito di equiparare le spese della politica italiana a quelle europee. La commissione, riunita per la prima volta solo il primo settembre, “non ha ancora finito il suo lavoro”.
Ma quello che per il deputato Pdl, intervenuto in diretta a SkyTg24, equivale a una rassicurazione – “Chiediamo al governo che fissi i tempi per l’intervento” – al di fuori del Palazzo non può che suonare come un rinvio sine die. Come farà l’esecutivo, se non può intervenire direttamente, a fissare un termine per l’operazione di auto-riduzione dello stipendio? Con quali sanzioni, in caso di sforamento dei limiti temporali?
Di certo, gli onorevoli italiani si sentono già sufficientemente “vessati” dal cambio di regime previdenziale – che ha lasciato a piedi non pochi “giovani” – e dal taglio di 1000 euro subito a inizio anno per ‘fare fronte’ alla crisi finanziaria. Quanto al taglio delle indennità, sarebbe un guaio anche per i vitalizi, ora che la pensione del parlamentare è agganciata ai contributi. E non è un caso che pochi tra i parlamentari si azzardino a levare una voce per chiedere all’interno dell’aula la stessa equità che pretendono di rappresentare all’esterno.
Solo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è sentito di escludere “attività dilatorie delle camere sull’indennità”. Ma il problema di natura tecnica resta, e anche per Fini il governo ha commesso un errore scrivendo l’articolo 23. “Escludo – ha detto – che da parte del Parlamento ci possa essere un’azione di contrasto nei confronti di quello che inappropriatamente il governo ha inserito nel decreto, cioè la riforma delle indennità, uniformando il trattamento economico dei parlamentari italiani alla media europea”. Fini ha sottolineato come “sia doveroso per il Parlamento essere trasparente e dare luogo a una riforma delle indennità, spiegando in base a quali criteri lo fa e uniformando il trattamento dei parlamentari italiani a quello della media degli altri paesi europei”. Eppure anche il presidente della Camera ha ricordato il ruolo della commissione presieduta dal numero uno dell’Istat. “Questa commissione terminerà il proprio lavoro nel più breve tempo possibile”, ha aggiunto il presidente della Camera: “Mi auguro che lo faccia nelle prossime settimane, dopodiché le due Camere tradurranno in apposite norme interne il risultato dei lavori. Nel decreto del governo la norma era scritta male, nel senso che non è possibile – ha spiegato – intervenire per decreto nell’ambito di questioni che sono di competenza esclusiva delle Camere. Ma di questo il governo è perfettamente consapevole e la norma sarà corretta”.
Sarà, ma la sensazione è che tra gli scranni delle aule parlamentari più che la “trasparenza” di Fini sia condivisa l’opinione dell’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini, che ieri è intervenuto, intervistato dall’agenzia Adnkronos, per dire che già così “le retribuzioni italiane sono sotto la media Ue”. Di sicuro, la vittima sempre più conclamata della trattativa parlamentare sulla manovra è la famigerata equità, uno dei tre pilastri su cui Monti ha fissato il suo mandato: con la ritassazione dei capitali scudati a rischio di inapplicabilità (problemi tecnici), la ridefinizione delle province smontata pezzo per pezzo (problemi formali) e l’esclusione della Chiesa nella reintroduzione dell’Ici (problemi di fretta) quel che resta sono tagli e rincari per i soliti noti.