Senza lobby non sei nessuno. Per uscire vivo da questa manovra devi avere un santo in Paradiso, o a Montecitorio. E i dirigenti della Pubblica amministrazione alla Camera ne hanno molti. Dopo aver confezionato una “norma pasticcio” sul taglio agli stipendi parlamentari, adesso i tecnici del governo Monti si sono scritti una norma “ad personam”. O meglio un comma ad hoc, per preservare i loro redditi. Nella manovra, infatti, è previsto che con un decreto del presidente del Consiglio, (ricevuto il parere delle Commissioni parlamentari) venga ridefinito il trattamento economico dei rapporti di lavoro dipendenti o autonomi con le pubbliche amministrazioni, stabilendo come parametro massimo per i dirigenti lo stipendio del presidente della Corte di Cassazione. Nello stesso articolo, il 23 ter, è sancito inoltre che i dipendenti pubblici chiamati a funzioni direttive nei ministeri o nella P. A. abbiano un’indennità pari al 25 % del trattamento economico percepito. Cioè che prendano uno stipendio e un quarto anziché due stipendi interi.
La norma, a quanto pare, ha fatto infuriare i “papaveri” della Pubblica amministrazione che hanno infuocato i telefoni dei colleghi tecnici di governo per tutta la serata di martedì. La Commissione bilancio è stata costretta a una pausa per ascoltare le innumerevoli proteste. Il doppio stipendio pubblico riguarderebbe i ruoli di vertice, come quelli dei ministri, da Antonio Catricalà, magistrato e membro del governo, a Corrado Clini, dirigente ministeriale e ora a capo del dicastero dell’Ambiente, fino al ministro che guida proprio la Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, anche lui magistrato fuori ruolo. Poi c’è Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, e ora viceministro, che ha già annunciato la rinuncia al 70 % della retribuzione e dovrà lasciarne almeno un’altra piccola parte.
Ma la norma coinvolgerebbe anche i sotto-segretari e soprattutto l’esercito di tecnici pubblici che riceve incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei ministeri, o cariche in enti pubblici diversi da quello di provenienza. Come quella di Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, che oltre ad essere magistrato fuori ruolo è capo dell’Ufficio legislativo del ministro della Giustizia, Paola Severino. Anche lei nei corridoi della Camera martedì sera, costretta ad attendere il verdetto sul suo secondo stipendio. Le lamentele dei dirigenti, a quanto pare, hanno fruttato una soluzione ad personam per la categoria: al comma 3 dell’articolo 23 ter è stato previsto che col decreto del presidente del Consiglio (citato al comma 1, quindi quello di revisione degli stipendi) si possano prevedere “deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni”. Ovvero si possa concedere agli “eletti” di mantenere il doppio stipendio. Nello stesso decreto verrà stabilito inoltre un tetto massimo per i rimborsi spese, che naturalmente andranno ad aggiungersi ai doppi compensi. Cifre che, cumulate, non scendono mai sotto i duecentomila euro e fanno impallidire anche i parlamentari e i loro diecimila euro al mese.
da Il Fatto Quotidiano del 15 dicembre 2011