Dopo la doccia fredda delle sanzioni comminate dall’Antitrust all’Auditel, accusata di favorire le posizioni di mercato di Rai e Mediaset, arriva un’altra tegola sulla testa del Biscione. Sì, perché il Consiglio dell’Authority che vigila sulla libera concorrenza ha posto una serie di condizioni restrittive al progetto di fusione fra Elettronica industriale (posseduta al 100 per cento da Rti, di proprietà di Mediaset) e Dmt, società proprietaria di una serie di antenne e tralicci sui quali corrono molti segnali televisivi.
I vincoli posti al matrimonio dei giganti dell’alta frequenza (Ei controllerà il 66 per cento di Dmt) ha lasciato di stucco le due società che, in un comunicato congiunto, fanno sapere che stanno valutando il da farsi.
Per la cronaca, Dmt (Digital Multimedia Technologies) è il maggiore operatore indipendente italiano nel settore delle infrastrutture per le frequenze radiotelevisive e delle tlc. Dai suoi tralicci vengono irradiati i segnali dei diretti concorrenti di Rai e Mediaset: uno su tutti quello di La7 del gruppo Telecom. Ma soprattutto Dmt è una delle tre aziende (al fianco della pubblica Raiway e della berlusconiana Elettronica Industriale) in possesso di una rete di tralicci in grado di coprire l’intero territorio nazionale.
L’intervento dell’Antitrust non scongiura che la famiglia Berlusconi entri in possesso dell’intera rete di ripetitori nazionali (eccezion fatta per quelli della Rai), ma mette una serie di paletti all’operazione, evitando (almeno in teoria) che Mediaset acquisisca una posizione dominante nell’appetitoso mercato delle frequenze televisive. Infatti l’Authority, guidata dal nuovo presidente Giovanni Pitruzzella, impone al nuovo moloch dell’etere Elettronica industriale-Dmt di garantire a condizioni “eque, trasparenti e non discriminatorie” l’accesso alle infrastrutture a operatori televisivi terzi. Queste misure, tese a “sterilizzare gli effetti anticoncorrenziali”, si applicheranno a una serie di settori che vanno dalla manutenzione tecnica dei tralicci, alla qualità del servizio fino alle tariffe per far correre i segnali televisivi sulla rete.
Oggi Dmt ha circa 400 clienti, fattura 59 milioni di euro l’anno e soprattutto ha in media tariffe più basse del 50 per cento rispetto a quelle di Elettronica Industriale. L’Antitrust obbligherà la nuova entità a non aumentare “i prezzi attualmente applicati” e dovrà garantire l’accesso all’infrastruttura a chiunque ne faccia domanda. Nel suo consiglio d’amministrazione non potranno essere nominati esponenti legati a Mediaset e Rti e soprattutto Dmt dovrà “mantenersi quotata in un mercato regolamentato”. A tale riguardo, il testo pubblicato dall’Antitrust recita che così “viene assicurata la contendibilità del controllo societario della proprietà delle infrastrutture stesse”. Il rispetto dei vincoli sarà “attentamente monitorato dall’Autorità” e se Ei-Dmt non si adeguerà alle misure stabilite scatteranno le sanzioni: dall’1 al 10 per cento dell’intero fatturato della società.
Se l’organismo guidato da Pitruzzella non fosse intervenuto per porre le sue condizioni alla fusione, Mediaset si sarebbe trovata in una posizione senza pari: chiunque avesse voluto fare televisione in Italia, avrebbe dovuto chiedere il permesso (la possibilità di irradiare il proprio segnale) al Biscione. Un regalo che sarebbe andato a sommarsi alla finta asta per l’assegnazione delle frequenze per la televisione digitale terrestre: il famigerato beauty contest dal quale lo Stato italiano non guadagnerà neanche un quattrino regalando un patrimonio da diversi miliardi di euro ai Berlusconi e a Viale Mazzini.
Ecco spiegato il “gran rifiuto” di Sky, una delle corporation in gara per l’assegnazione dei nuovi segnali: Anche se avesse vinto, il gruppo guidato da Rupert Murdoch avrebbe dovuto andare a chiedere in affitto a Mediaset l’infrastruttura necessaria per trasmettere i propri programmi. A meno di non voler affidarsi alla giungla dei ripetitori dell’emittenza locale.
“Garantiamo la concorrenza”, gridava ai quattro venti il gruppo della famiglia Berlusconi quando a dirigere l’Antitrust era Antonio Catricalà (poi diventato sottosegretario alla presidenza del consiglio del governo Monti). Sky non si è voluta fidare. L’Authority di Pitruzzella nemmeno. E ora, anche se Mediaset avrà tutte le antenne d’Italia dovrà comunque rispettare le regole del gioco.