“Un’imboscata contro di me”. E ancora: “Questa sì che è una legge ad personam”. E’ un fiume in piena Silvio Berlusconi colpito nell’orgoglio e soprattutto nel portafoglio dalla decisione del governo di annullare il beauty contest (la gara che assegnava gratis le frequenze televisive generate dal passaggio al digitale) e di indire al suo posto una vera e propria asta competitiva.
In realtà l’ex presidente del Consiglio più che con Monti o Passera dovrebbe prendersela con chi in questi anni ha curato gli interessi delle sue televisioni: dai vertici aziendali del Biscione fino all’ex titolare del ministero dello Sviluppo economico Paolo Romani. Qual’è stata la loro colpa? Quella di non aver chiuso la ricchissima partita dell’assegnazione delle frequenze digitali quando erano al potere e di trovarsi ora con un governo meno propenso a regalarle a Mediaset (e di conseguenza anche alla Rai).
Una volta preso possesso dell’ufficio di via Veneto, Corrado Passera, dopo le prime ritrosie, ha ceduto alle richieste di alcuni partiti e di una fetta sempre più grande della società civile: in un momento in cui si chiedono agli italiani sacrifici senza pari, è inaccettabile regalare alle televisioni un bene pubblico rinunciando a diversi miliardi di euro. E così è stato. In realtà il nuovo ministro dello Sviluppo economico ha usato il guanto di velluto contro le aziende dell’ex premier: il piano infatti prevede sì di annullare il beauty contest in favore di un’asta vera e propria, ma concede ai due incumbent (Rai e Mediaset) di trasformare il “loro” Dvb-h (frequenza di solito usata per i servizi multimediali della telefonia) in un Dvb-t, e cioè in un pacchetto di segnali televisivi veri e propri. Così facendo sia Cologno Monzese che Viale Mazzini si troveranno in possesso di cinque super-frequenze digitali (quattro multiplex li avevano già) su cui potranno fare correre fino a 30 segnali contemporaneamente. Il massimo concesso dall’Unione europea che proprio a causa dello strapotere del duopolio “Raiset” aveva aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia colpevole di non aver aperto il mercato televisivo a nuovi soggetti.
Il problema però è che Berlusconi voleva tutto: far vincere gratuitamente a Mediaset una delle sei frequenze messe a gara (tenendosi il Dvb-h, pronto a trasformarlo in Dvb-t una volta che la lente di Bruxelles si fosse spostata altrove) e soprattutto decidere a chi assegnarle, tenendo ben lontano dal mercato della televisione digitale terrestre relatà in grado di farli concorrenza come Sky Italia (che qualche mese fa ha infatti rinunciato per “regole discutibili). Insomma il Cavaliere voleva vincere facile, ma la tattica del temporeggiamento, unita a un po’ di sfortuna (la caduta del governo) hanno incrinato i suoi piani.
La partita dell’assegnazione delle frequenze si poteva concludere già a luglio 2010, quando ancora nessuno aveva ancora pensato alla possibilità di vendere, questa volta mediante una vera asta commerciale, un’altra porzione di etere (liberata sempre dal passaggio al digitale) alle compagnie di telecomunicazioni. Poi ci si è messa Sky con il ricorso (accolto in sede europea) contro la sua esclusione dal beauty contest. Anche in questo caso l’ordine di batteria era quello di traccheggiare, ed ecco che Romani si rivolge al Consiglio di Stato, appellandosi alla reciprocità: Sky è un’azienda americana e non può trasmettere sul territorio italiano fino a che l’America non consentirà alle televisioni italiane di irradiare il proprio segnale negli States. Il massimo organo della giustizia amministrativa rigetta però il suo ricorso definendolo addirittura “manipolativo”.
Una volta persa la partita con la corporation di Rupert Murdoch, a Berlusconi e soci non rimane altra soluzione che stendere il disciplinare di gara e di mandarlo al commissario europeo alla Concorrenza Joaquin Almunia. Pena la multa di qualche centinaio di milioni di euro per la procedura d’infrazione che pesa sul Belpaese dai tempi della Legge Gasparri.
L’ordine è però sempre lo stesso: far passare i mesi, come in una guerra di posizione, per fiaccare gli avversari più temuti: quelli che, entrando nel mercato televisivo, sono in grado di rosicchiare fette di mercato e introiti pubblicitari alle aziende del Biscione. Passa altro tempo e si arriva ai giorni nostri, a questa estate precisamente. E’ quasi fatta, ma la gara ha dei tempi lunghi e nel frattempo, apriti cielo, i mercati internazionali e l’Unione europea “costringono” Berlusconi a salire al Colle a rassegnare le proprie dimissioni da capo del governo. “Cambiano le regole per colpire me”, ha detto mestamente il Cavaliere.