E’ stato forse l’atteso giorno della svolta. O, per lo meno, così si spera di poterlo ricordare in futuro, se e quando gli effetti del maxi provvedimento avranno centrato gli auspici. Come concordato, la Banca centrale europea ha scaraventato oggi un diluvio di liquidità sugli istituti privati dell’eurozona. Nel dettaglio, la Bce ha messo in tavola una torta da quasi 500 miliardi di euro (489,19) sotto forma di prestiti a tassi di favore (l’1%), una prelibatezza divisa in 523 fette di grandezza variabile, tante quante le banche che hanno battuto cassa oggi presentando le opportune garanzie. Quattordici gli istituti italiani coinvolti per un ammontare complessivo di 40,4 miliardi coperti da obbligazioni garantite dal Tesoro. Dodici i miliardi finiti nella casse di Intesa Sanpaolo, 10 per Monte dei Paschi e 7,5 per Unicredit.
L’operazione, ovviamente, appare particolarmente significativa per almeno due motivi. In primis la scadenza prolungata, tre anni per restituire il prestito, in secondo luogo per l’ammontare pressoché doppio rispetto alle attese (si stimava un esborso da 250 miliardi). Due aspetti chiave che, unitamente al tasso di favore dell’1%, evidenziano implicitamente il carattere di urgenza dell’intervento. Quando lo scorso anno l’Europa decise di soccorrere Grecia e Irlanda, questi Paesi si trovarono a contrarre prestiti caratterizzati da interessi particolarmente onerosi. Oggi, invece, intervenendo direttamente sulle banche, la Bce può erogare finanziamenti ad un costo estremamente ridotto, decisamente inferiore al tasso di inflazione programmato. In pratica, l’istituto centrale accetta di andare incontro a una perdita del valore reale dell’investimento con l’obiettivo di mettere le banche nella condizione di fare ciò che l’istituto stesso non può più permettersi di fare nel lungo periodo: ridurre in modo sensibile la pressione sui mercati obbligazionari e contrastare al tempo stesso la prevista recessione del 2012.
I problemi dell’Europa, come è evidente da tempo, sono soprattutto due. Da un lato il semi-congelamento del mercato interbancario – con gli istituti che si rifiutano di concedersi prestiti a vicenda preferendo i più sicuri depositi presso la Bce – dall’altro l’effetto recessivo che le politiche di contenimento di bilancio stanno producendo sui sistemi economici nazionali. Un effetto, quest’ultimo, alimentato ulteriormente dalla stretta creditizia. I cittadini, insomma, pagano più tasse, restano più facilmente disoccupati e consumano di meno mentre le imprese, già sottoposte alle conseguenze del calo della domanda, faticano ad ottenere finanziamenti dalla banche. Come se non bastasse, la sfiducia e la speculazione ribassista fanno aumentare i rendimenti dei bond sovrani facendo crescere la pressione sui debiti pubblici in un evidente circolo vizioso. La Bce, ha chiarito Draghi, non può sostenere all’infinito le obbligazioni statali con i suoi acquisti, meglio dunque che a farlo siano le banche stesse dopo aver ricevuto, s’intende, una cospicua iniezione di denaro liquido.
Il nodo è più o meno tutto qui. La Bce si trasforma di fatto in “prestatore di ultima istanza per le banche e non per i titoli statali”, ha sottolineato oggi l’economista di Royal Bank of Scotland Silvio Peruzzo, interpellato da Bloomberg. Come a dire che alla fine Eurotower ha trovato il modo di bypassare il grande tabù della Bundesbank, quello su cui Berlino aveva preteso le opportune garanzie da parte di Mario Draghi prima di concedere il nulla osta alla sua nomina a successore di Trichet. Rinvigorite da 500 miliardi di prestiti, insomma, le banche dovrebbero procedere secondo il piano sbloccando i crediti verso l’economia reale e acquistando al tempo stesso i bond sovrani spingendone al ribasso i rendimenti. Tutto perfetto, apparentemente. Se non fosse che il gioco potrebbe non funzionare come sperato.
Prima di salvare i titoli dei Paesi in difficoltà, infatti, le banche dovranno pensare a contenere i propri debiti. Nel primo trimestre 2012, ha ricordato in questi giorni lo stesso Draghi, andranno in scadenza circa 230 miliardi di obbligazioni emesse dalla banche private. E il rischio, dunque, è che buona parte dei capitali presi a prestito sia utilizzata per ripagare questi bond. Nel frattempo, la pressione esercitata dal Comitato di Basilea che impone requisiti patrimoniali più stringenti agli istituti (ma lo stesso discorso vale per le richieste dell’Eba, l’autorità bancaria europea, che imporrà alle banche di rastrellare circa 115 miliardi di liquidità entro la metà del prossimo anno), favorirà l’aumento dell’ammontare in deposito giocando quindi a favore della stretta creditizia. Il grande timore, insomma, è che solo una piccola parte dei fondi messi a disposizione possa finire nelle casse degli Stati alleggerendo la pressione dei deficit pubblici (ovvero abbassando il costo di rifinanziamento per gli Stati) senza contare il rischio di una chiusura permanente sui prestiti da erogare a cittadini e imprese. L’incertezza, dunque, resta evidente. Anche per questo, probabilmente, la pioggia di prestiti della Bce non ha convinto troppo le principali borse europee che chiudono oggi tutte in territorio negativo. Lo spread Btp/Bund è tornato sotto i 490 punti dopo aver sfiorato anche la soglia dei 500 durante la giornata.