Ci sarebbe stata una vera e propria strategia occulta per spostare Bernardo Provenzano dal carcere di Terni. E’ quanto emerso dal racconto dell’ex dirigente del Dap Sebastiano Ardita, che ha deposto in aula come testimone nel processo a carico di Mario Mori e Mauro Obinu, i due ufficiali dei carabinieri accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra per il mancato arresto dello stesso Provenzano a Mezzojuso nel 1995.
Ardita ha risposto alle domande dell’accusa, rappresentata dai pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, raccontando come già nelle ore immediatamente successive all’arresto del boss di Cosa Nostra, avvenuto undici anni dopo, l’11 aprile del 2006, alcuni funzionari del Gom (il Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria) avessero consigliato di sistemare Provenzano nel carcere di L’Aquila.
“Nel carcere abruzzese però – ha detto l’ex dirigente del Dap – era già detenuto un altro super boss, Piddu Madonia, per cui la scelta naturale era mettere Provenzano nel carcere di Terni, dove si erano recentemente fatti importanti investimenti a livello di sicurezza in previsione del trasferimento di Totò Riina. Trasferimento che però non si concretizzò, per cui Terni offriva una sicurezza massima che non avrebbe consentito a Provenzano di entrare in contatto con nessun boss di primo livello.”
Poco tempo dopo però, sul quotidiano La Repubblica comparve la notizia secondo la quale Giovanni Riina, secondogenito del capo dei capi, all’entrata di Provenzano nel carcere di Terni avrebbe esclamato: “Questo sbirro qui l’hanno portato?”. Fatto che – ha raccontato il magistrato, che di queste scrive nel libro Ricatto allo Stato – mi sorprese non poco dato che proprio in quei giorni ero andato in visita nel carcere di Terni e il direttore non mi aveva riferito nulla in proposito. Con una rapida chiamata ho subito verificato come quella notizia fosse destituita da ogni fondamento”.
Nonostante la notizia dei dissidi tra Provenzano e il figlio di Riina fosse falsa, iniziarono delle continue pressioni sull’allora dirigente del Dap per spostare Provenzano da Terni. “Si formò un vero e proprio carteggio sulla mia scrivania – ha detto Ardita – con richieste di trasferimento di Provenzano. Iniziarono anche a fioccare gli esposti anonimi contro la mia persona. Provenzano però rimase a Terni ancora per un altro anno. Non c’era un reale motivo per spostarlo.”
Successivamente sui quotidiani venne diffusa un’altra circostanza non vera, ovvero che al boss corleonese era stata servita, il giorno del suo compleanno, una vera e propria torta augurale. “Notizia anche questa sostanzialmente falsa – ha commentato il magistrato catanese – Si era parlato di una torta consegnata a Provenzano per il suo compleanno, in realtà si trattava di una crostatina piccola, di circa 80 grammi, confezionata dalla Mulino Bianco (sic) e servita a tutti i detenuti nel menù di quel giorno”.
A quel punto tenere Provenzano ancora nel carcere di Terni non era proponibile e il boss mafioso venne quindi trasferito a Novara. Il teste, raccontando quanto accaduto, ha fatto notare che fosse evidente l’interesse da parte di qualcuno per interrompere la detenzione di Provenzano nel carcere umbro.
In precedenza anche Massimo Ciancimino aveva raccontato ai magistrati dettagli sulla carcerazione di Provenzano. In particolare Ciancimino Junior riferì che subito dopo l’arresto di Provenzano il signor Franco – ovvero il misterioso personaggio legato ai servizi che sarebbe stato il continuo contatto di Vito Ciancimino con apparati dello Stato – gli avrebbe rivelato l’episodio dello screzio tra Riina Junior e Provenzano suggerendogli di diffonderlo il più possibile. E sui giornali dunque la notizia sarebbe arrivata grazie al figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo.
Un particolare in più per scorgere un preciso disegno occulto volto a spostare il boss corleonese dal penitenziario ternano. Ardita però, rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio, legale di Mori, e del presidente della corte Mario Fontana, non ha saputo indicare chi potesse avere l’interesse d’interrompere la detenzione di Provenzano a Terni.
Dall’audizione dell’ex capo dell’ufficio detenuti però è emersa anche la possibile e inquietante esistenza di un protocollo tra il Dap e il Sisde. Una sorta di vero e proprio “accordo” ufficiale avente anche natura informativa. Riguardo all’esistenza di tale protocollo tra l’ufficio detenuti e i servizi segreti i magistrati hanno fatto riferimento più che altro ad alcuni dirigenti del Dap, come l’attuale pm di Palermo Salvatore Leopardi, sotto processo a Roma per questioni relative al periodo in cui era in servizio proprio all’ufficio detenuti. Dal 2001 al 2006 il Sisde è stato diretto proprio da Mario Mori.
Nella sua deposizione, Ardita ha anche riferito di un intervento del ministero della Giustizia, nel 1992, all’epoca delle stragi Falcone e Borsellino, per impedire l’ampliamento del carcere duro a migliaia di mafiosi detenuti, provvedimento richiesto dal Dap stesso.