“La strategia della tensione è ancora in atto. Anni fa, pezzi delle istituzioni usavano il tritolo per mutare gli equilibri democratici e politici del nostro paese. Oggi si usano altri mezzi, ma è sempre strategia della tensione”. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, dal palco eretto nella stazione centrale di Napoli, dove si ricorda la strage del 23 dicembre 1984, davanti ai volti addolorati e agli occhi lucidi dei familiari delle vittime, chiede l’abolizione del segreto di Stato sulla strage, per arrivare finalmente alla verità sui mandati occulti di quell’attentato che resta tra i più oscuri della storia dell’Italia repubblicana. Nonostante siano passati ventisette anni da quella tragedia in cui persero la vita 16 persone e 267 furono ferite, la carica emotiva per quelle morti è tuttora intatta. Il 23 dicembre del 1984, poco prima di mezzogiorno, dal binario 11 parte per Milano il treno rapido 904. E’ affollatissimo C’è tanta gente che si accalca per salire a bordo. È difficile trovare un posto. Tante valigie e tante buste piene di regali. Anche i corridoi sono invasi. Moltissimi i bambini che fanno il viaggio con i genitori. Le valigie vengono infilate in qualsiasi posto disponibile. La calca è indescrivibile. Finalmente si parte, ma quel treno nel capoluogo lombardo non arriverà mai. Alle 19,08 una bomba scoppia in una carrozza di seconda classe, la numero 9, nella galleria tra Vernio e San Benedetto Val di Sambro. La carrozza si sventra. Una vampata di calore brucia tutto quello che incontra davanti. I finestrini fanno schizzare schegge di vetro che si conficcano dappertutto. Volano via in mille pezzi le valigie, le borse, i regali all’interno. C’è fumo, sangue. Volano anche pezzi di corpi umani. Una carneficina. La morte non risparmia nemmeno i più innocenti: i bambini. È l’inferno. Quindici corpi rimarranno senza vita. Uno non si è mai trovato. La sedicesima vittima perderà la vita ad un anno e mezzo di distanza.
Video di Katiuscia Laneri
Le indagini sulla strage del treno Rapido 904 vengono avviate immediatamente. Ma i primi risultati concreti si hanno il 9 gennaio 1986 quando il pubblico ministero Pierluigi Vigna firma una serie di ordini di cattura, tra cui quello contro il cassiere di Cosa Nostra, Giuseppe “Pippo” Calò, e contro Giuseppe Misso, boss del rione Sanità di Napoli. Nell’ordinanza di rinvio a giudizio, i giudici di Firenze scrivono che la strage sul treno Rapido 904 sarebbe stata ideata “con lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta delloStato”.
Il 25 febbraio 1989 la Corte di Assise di Firenze condanna alla pena dell’ergastolo Giuseppe “Pippo” Calò, Guido Cercola, Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi e Giuseppe Misso, con l’accusa di strage. Inoltre, decreta ventotto anni di detenzione per Franco Di Agostino e venticinque per il tedesco Frederich Schaudinn.
Il secondo grado è celebrato dalla Corte di Assise di Appello di Firenze il 15 marzo 1990 dal giudice Giulio Catelani: le condanne all’ergastolo per Calò e Cercola sono confermate e anche Di Agostino si vide la pena commutata in ergastolo. Misso, Pirozzi e Galeota sono invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo. Il tedesco Schaudinn è assolto dal reato di banda armata, ma resta incolpato della strage e condannato a ventidue anni. Il 5 marzo 1991 1a sezione della Corte di Cassazione presieduta dal giudice Corrado Carnevale annulla la sentenza di appello.
Si rifà il processo e nel Tribunale fiorentino si riforma parzialmente la sentenza. I giudici condannano per strage Giuseppe Calò e assolvono Misso, condannandolo solo per detenzione abusiva di esplosivo e contemporaneamente riducono la pena a tre anni. Alla fine di questo giudizio Galeota, braccio destro di Misso, e sua moglie, vengono uccisi in un agguato. In un nuovo giudizio, a seguito di stralcio, un deputato missino, Massimo Abbatangelo, già condannato in primo grado per strage alla pena dell’ergastolo, viene assolto per non aver commesso il fatto. È condannato però per porto e detenzione abusiva di esplosivi. La Corte di Cassazione rigetta, successivamente, i ricorsi proposti dai familiari delle vittime contro la sentenza di secondo grado nei confronti di Abbatangelo, e li condanna, tra le proteste, al pagamento delle spese processuali.
Nonostante le sentenze, i punti oscuri della vicenda sono moltissimi. Ad aprile scorso un nuovo colpo di scena. I magistrati della DDA di Napoli, notificano un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a Totò Riina per strage. Sarebbe lui il mandante secondo alcuni collaboratori di giustizia che hanno cominciato a squarciare il velo di omertà su quella tragedia. Interrogato l’8 giugno 2010, Brusca ha raccontato: “Quanto alla strage del rapido 904, fin da subito a noi di Cosa nostra fu ben chiaro che si trattava della risposta dell’organizzazione ai mandati di cattura di Falcone e Borsellino del settembre 1984″.
“Abbiamo sempre chiesto che ci sia un’indagine a tutto campo – afferma Antonio Celardo – il presidente dell’associazione dei familiari vittime della strage – andando a rivedere le indagini passate e ad aprire gli armadi per riscontrare la documentazione negli archivi segreti. Siamo convinti che siano coinvolti i servizi deviati e apparati dello Stato. All’epoca il capo dei servizi era iscritto alla P2. Ci auguriamo che questa nuova inchiesta possa far luce sui mandati esterni e i politici. Bisogna scavare in quella direzione. E poi vorremmo che la legge del 2007, quella che toglie il segreto di Stato venga portata finalmente a conclusione approvando i decreti attuativi.”